Di una sua candidatura alla segreteria del Pd non ne vuole parlare, «non è un tema all’ordine del giorno». Il ministro della Giustizia Andrea Orlando dice che il terna, ancora una volta, non è chi si candida nel Pd, ma dove vuole andare il partito e quali questioni intende mettere in cima alla sua agenda.
Ministro, per ora in cima ai pensieri del Pd sembra esserci la legge elettorale. Matteo Renzi ha rilanciato il Mattarellum ma, a parte la Lega, gli animi sono tiepidi. Lei che ne pensa?
«Sicuramente è una questione urgente, ma nel nostro dibattito non smarriamo un tema che è esploso con il referendum: la questione sociale. Comunque non so se è il Mattarellum, pensato in un sistema bipolare, si attagli ugualmente in un sistema tripolare e in un quadro in cui, tra l’altro, la base di partecipazione al voto si restringe sempre di più. Potremmo ritrovarci in uno’ scenario in cui una netta minoranza potrebbe avere una forte rappresentanza in Parlamento. Il rischio è quello di uno squilibrio tra rappresentanza parlamentare e consenso, circostanza che non si poneva negli stessi termini ai tempi del bipolarismo».
Quindi per lei resta ancora in piedi la proposta di Matteo Ortivi, l’Italikos?
«Noi abbiamo depositato una proposta che prevede un premio di maggioranza al partito che arriva primo con la possibilità di inserire i collegi. È un’ipotesi sulla quale si può lavorare e che è stata sviluppata nel documento elaborato dall’apposito gruppo di lavoro».
Il M5s chiede di andare al voto con le sentenze della Consulta. Il presidente Mattarella è stato chiaro. Ci vuole una legge elettorale. Se le forze politiche non dovessero arrivare ad un accordo che succede, si va comunque al voto?
«Andare al voto con il Consultellum al Senato e l’Italicum corretto alla Camera significherebbe avere la certezza di nessuna maggioranza politica e due maggioranze diverse nei due rami del Parlamento. Se si vuole ridare la parola ai cittadini credo sia opportuno dotare il Paese di uno strumento in grado di farla arrivare questa voce e non di affogarla in un pantano. Ha fatto bene il Presidente della Repubblica a esortare il Parlamento a lavorare rapidamente per una legge omogenda tra Camera e Senato».
Si allontana l’orizzonte del voto?
«No. Quando sciogliere le Camere è una preorogativa del Capo dello Stato. Ma il carattere costituente della legislatura è stato oggettivamente travolto dal referendum. Ora si tratta di discutere su come chiudere la legislatura, non su come completarla».
Il referendum ha travolto anche il Pd. La frattura sembra difficile da sanare.
«Non credo che il referendum sia stato un colpo solo per il Pd, penso piuttosto che sia stata travolta la strategia che ha messo in campo il nascente centrosinistra fin dagli anni Novanta. L’idea di fondo era che attraverso la riforma del sistema delle istituzioni saremmo stati in grado di rispondere alla crisi della democrazia e costruire quindi i presupposti capaci di prosciugare l’antipolitica. Quel disegno si è infranto con il referendum, è una strada ormai preclusa. Quindi ne dobbiamo cercare altre».
Quali?
«Si dovrebbe partire, ad esempio, da una seria riflessione sulla questione sociale, sottovalutata negli ultimi venti anni».
Anche durante il governo Renzi?
«Il governo Renzi ha provato a dare dei segnali in controtendenza, penso al tema degli ottanta euro, alla ripresa salariale, agli interventi sulle pensioni e sulla povertà . Tutto questo però, è stato giocato dentro una gabbia che si è ristretta sempre di più, che è quella delle compatibilità europee che non abbiamo saputo mettere in discussione per troppi anni».
Eppure non è bastato, il 4 dicembre è stato un voto anche contro il governo. Cosa non ha funzionato?
«Mi ha convinto molto un passaggio del discorso di Renzi, quando ha detto che una collana non è fatta solo dalle perle ma anche dal filo. E il filo è una visione, è il modo in cui inserisci i provvedimenti in un quadro in cui si denunciano le ingiustizie e si impone una redistribuzione del reddito. Noi, forse, queste parole non le abbiamo scandite con sufficiente forza. Ma va anche detto che erano parole che mancavano nel nostro vocabolario da parecchio tempo».
Il nuovo campo progressista lanciato da Giuliano Pisapia può servire per riavvicinare al centrosinistra fette di elettorato perdute in questi anni?
«Credo che sia una iniziativa positiva a cui guardare con grande attenzione. Quello di cui c’è bisogno non sono nuove sigle politiche ma nuove idee su cui confrontarsi e se questa esperienza può dare un contributo in questo senso penso che possa essere utile per tutte le forze di compresa la sinistra r centrosinistra, adicale».
I giovani non votano Poletti l’altro giorno Pd. Il ministro ha detto che è un bene che molti se ne siano andati. Non è un buon inizio per riallacciare il dialogo. Non le sembra?
«Un’uscita infelice, che lui stesso per primo ha corretto».