Dopo mesi di convivenza molto pacifica coni Cinque stelle, da qualche settimana il Pd tiene il punto su ogni questione e in questa intervista a La Stampa il numero due del partito, Andrea Orlando, racconta la linea del Piave dei democratici sui principali temi in discussione, a cominciare da un delicato e nuovo: la partecipazione dello Stato al capitale delle imprese.
“Il capitale delle imprese non deve essere partecipato dallo Stato per corrispondere ad un astratto modello ideologico. Il tema è valutare se lo Stato debba entrare per un determinato periodo, in modo da garantire che l’impresa mantenga gli impegni assunti nel momento in cui riceve finanziamenti a fondo perduto da parte dello Stato. Nessuno ha proposto che lo Stato entri nella govemance delle imprese, né che si proceda a nazionalizzazioni”.
Così risponde Orlando ribadendo che le stesse esperienze si stanno facendo anche in Germania.
Non si tratta di uno “Stato impiccione, bensì uno Stato oculato. In alcuni casi lo Stato imprenditore è utile ed auspicabile, ma non è questo il caso: siamo ad uno Stato garante nei confronti della collettività per l’utilizzo delle risorse. Una cosa molto diversa. L’alternativa, già sperimentata, e non sempre felicemente nel nostro Paese è dare i soldi senza alcuna verifica”.
“C’è un pezzo di società che è stata messa fuori gioco dalla crisi del coronavirus e che non è coperta dal reddito di cittadinanza o dalla misura davvero storica della Cig per le piccole imprese. C’è il nero che va fatto emergere, un pezzo di precariato che ha perso il lavoro senza alcuna garanzia. Sono persone che devono essere aiutate in questa fase. Ed è caricatura, appunto, definire la manovra di segno assistenziale: questa misura costa un miliardo sui 55 messi in campo, buona parte dei quali andranno alle imprese”.
Sulla questione alleanze politiche e l’ipotesi di un possibile abbandono del sostegno di Renzi e Iv al governo, Orlando è molto netto: «L’emergenza non è finita. Non possiamo permetterci il lusso di manovre. L’Italia, non il Pd, non ha alcun bisogno di un governo indebolito ma semmai di un governo più forte. Non ci sono altre formule possibili. Se saltano questa maggioranza e questo esecutivo, non c’è un altro governo: l’unica strada sarebbe – appena possibile – quella del voto».