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Orlando: “Senza illusioni e subalternità, dico sì al dialogo con M5S”

Andrea Orlando, leader della minoranza del Partito democratico e ministro uscente della Giustizia, è pronto a sedersi al tavolo con i Cinque Stelle per parlare di governo. Ma sull’esito del confronto non si fa troppe illusioni.

Un governo con M5S è un imbroglio, chiude Renzi.
«Con tre poli e col proporzionale le maggioranze nascono solo se due forze si alleano. Magari è vero che non ci sono le condizioni, ma se questo non avviene non c’è nessun governo. La direzione nazionale del 3 maggio dovrà servire a valutare se aprire alla discussione col M5S. Se si fa o no il governo si deciderà in caso di un esito positivo della direzione, alla fine del confronto».

Lei voterà sì?
«Io sono per il dialogo. Senza nessuna subalternità e senza chiedere né fare abiure, dovremo valutare nel merito se ci siano le condizioni per il governo. Non a qualsiasi costo e non facendomi grandi illusioni. Se, come credo possibile, dovesse esserci un esito negativo del confronto, aver fatto una verifica empirica può chiarire le responsabilità in caso di ricorso al voto».

Condivide la pregiudiziale su Di Maio?
«A me sembra difficile pensare che Di Maio possa essere il punto di equilibrio di due forze in così forte contrapposizione. Non lo dico con ragionamento partigiano, vale al contrario anche per l’elettorato grillino. Sarebbe difficile pensare che tornano i ministri del governo Gentiloni. Se deve nascere un governo, è necessario evitare gli angoli più acuti».

Lei e Martina darete battaglia per consultare la base?
«Una qualche forma di consultazione per un passaggio così difficile è necessaria. Ma quando ho detto che al referendum era ragionevole chiamare tutti gli elettori, perché sono loro che ci hanno dato un mandato, ci è stato risposto che verrebbero a votare quelli di Casaleggio».

Per Orfini indire primarie aperte è come invitare i grillini a scegliere se fare un governo coi grillini…
«Tenuto conto che il nostro statuto prevede che i non iscritti scelgano il segretario, mi auguro che questa preoccupazione valga anche per il futuro».

Siamo alla battaglia finale per far fuori Renzi?
«Non credo che il tema sia questo. Stiamo parlando del governo del Paese e del futuro del Pd».

Si può evitare la conta?
«Ho colto alcuni elementi positivi. Ho visto nelle minoranze posizioni favorevoli al dialogo, ma non a qualunque costo. E nella maggioranza ci sono posizioni molto articolate. Ho letto un’intervista di Giachetti che io avrei sottoscritto. Mi auguro una discussione che non parta dalle appartenenze, ma dall’interesse del Paese e del Pd».

Vincerà il partito dei ministri «governativi»?
«Se ci fosse sarebbe sbagliato, io non mi considero parte di un partito dei ministri. Sono convinto che la lotta politica al populismo non si faccia demonizzandolo, ma facendo esplodere le contraddizioni. È legittimo che altri pensino di combatterlo diversamente. Faccio notare che la divaricazione più forte è dentro la maggioranza che ha sostenuto Renzi al congresso».

I renziani sono spaccati?
«Persino la dialettica con Martina è sorprendente. Ricordo che fu il co-protagonista del ticket che doveva consentirci di passare dal partito dell’io al partito del noi».

Non è ora che il Pd faccia autocritica?
«Sì, penso che questa discussione non possa partire dalla rimozione della sconfitta. Dal 4 marzo in poi si è discusso di organigrammi e di governo, ma si è saltato il punto di partenza. Come si fa a dire quali sono i punti essenziali di una trattativa, se prima non hai ridefinito la tua agenda alla luce del voto? Non è un esercizio accademico interrogarsi su Jobs act, legge Fornero, pressione fiscale o investimenti per incentivare l’occupazione. Se non rispondi a queste domande rischi di affrontare questo passaggio, o addirittura, andare alle elezioni alla cieca e per me è il pericolo più grande».

Renzi torna in campo?
«Credo che Renzi dimettendosi abbia detto una cosa, vale a dire che riprendere esattamente da dove abbiamo perso non è una risposta alla sconfitta. Però, prima ancora di sapere se Renzi vuole riprendersi o meno il Pd, vorrei sapere che lettura diamo della sconfitta. Non credo sia tutta riconducibile alle responsabilità di Renzi, viene da lontano. Penso però che il referendum ci aveva detto che si era rotto qualcosa nella società. La rimozione post referendum ci ha portato alla sconfitta elettorale e non vorrei continuassimo a suon di rimozioni».

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