«È una pura illusione pensare che il Pd possa arrivare al 40% alle politiche: le ultime elezioni comunali hanno dimostrato che non c’è nessuna equivalenza tra chi ha votato Sì al referendum e chi ha poi scelto il Pd. Ed è altrettanto illusorio pensare, come fanno Bersani e D’Alema, di costruire un nuovo centrosinistra contro il Pd. I dati dicono che quando ci dividiamo i nostri elettori restano a casa». Andrea Orlando, ministro della Giustizia e leader della minoranza Dem, annuncia la sua battaglia d’autunno con due obiettivi: «Cambiare la legge elettorale con i collegi e il premio alla coalizione e ricostruire il centrosinistra, anche con Mdp».
Obiettivo ambizioso: i rapporti tra i vertici del Pd e gli scissionisti di Mdp sono al minimo storico
«Io non mi rassegno, e non sono il solo. Di legge elettorale si torna a discutere alla Camera grazie alla nostra iniziativa. E, al di là di un certo conformismo di facciata, sono convinto che la maggioranza dei dirigenti del Pd, e soprattutto del nostro popolo, non si rassegna ad andare al voto con questa legge elettorale che condannerebbe l’Italia a restare per mesi senza un governo sotto l’attacco della speculazione».
Ieri alla Camera lei ha parlato a lungo con Dario Franceschini. Siete uniti in questa battaglia?
«Non abbiamo parlato di questo. Credo che in una parte del gruppo dirigente del Pd ci sia la tentazione di mettere la legge elettorale su un binario morto. Errore gravissimo. Dobbiamo smettere di dire che si cambia solo con il consenso di tutti i partiti, perché è evidente che il M5S non ci sta. Dobbiamo cercare il consenso più largo possibile ma andare avanti comunque. Chi vuole votare con questa legge dovrà metterci la faccia davanti al nostro popolo».
Troverà i numeri dentro il Pd?
«È una battaglia che va oltre le correnti. Sento esponenti renziani come Maurizio Martina e Matteo Richetti che tornano a parlare di centrosinistra. E ovunque si vota, nelle Regioni, si fanno le coalizioni. Ci sarà una pressione esterna del nostro popolo, fondatori dell’Ulivo e del Pd come Prodi e Veltroni non staranno a guardare. Con il proporzionale il Pd dopo il voto avrebbe come unico sbocco l’alleanza con Berlusconi».
Renzi pare intenzionato a lasciare tutto com’è
«Per anni ha detto che voleva conoscere il governo la sera del voto. Ora rischia di averlo un anno dopo. Un salto mortale».
Renzi può essere il leader che riunisce il centrosinistra?
«Se l’avessi pensato non mi sarei candidato alle primarie. È evidente, però, che Matteo è un leader legittimato. Non si possono accettare veti sulle persone, anche se è necessario confrontarsi con i partner».
C’è chi evoca un ribaltone dentro il Pd dopo una eventuale sconfitta alla regionali in Sicilia. Lei crede che quel voto abbia valore nazionale?
«Con oltre 5 milioni di persone chiamate alle urne mi pare evidente il valore politico del voto. Ma ora penserei a vincere piuttosto che al dopo. Non sono i ribaltoni a sciogliere i nodi che si sono aggrovigliati».
Nel suo centrosinistra c’è anche Alfano?
«Serve una coalizione allargata a sinistra e al centro. Anche a forze moderate che hanno rotto col berlusconismo».
Bersani, ma anche Pisapia, dicono che con Alfano non esiste il centrosinistra
«Non era questo il ragionamento quando D’Alema fece l’alleanza con Lamberto Dini e Bersani con l’Udc. Ci hanno insegnato che per vincere occorre anche dividere il campo avversario».
I leader di Mdp sostengono che il Pd con Renzi abbia cambiato la sua natura
«Bersani e D’Alema da leader riformisti si stanno trasformando in gruppettari. Tutta la sinistra degli Anni Novanta non ha contrastato l’austerità e ha pensato alla globalizzazione come l’Eden. È semplicistico pensare che queste contraddizioni si superino solo facendo cadere Renzi. In questa storia ognuno ha una parte di colpa, tutti dobbiamo fare autocritica».
D’Alema come Bertinotti?
«In Sicilia mi pare evidente, hanno l’unico obiettivo di far perdere il Pd».
La legge elettorale potrebbe cambiarla ancora una volta la Consulta?
«Mi pare un errore caricare tutto il peso ancora una volta sui giudici della Corte. Per avere la governabilità non bastano dei ritocchi, deve muoversi il Parlamento».
Il presidente della Commissione Ue Juncker ha aperto all’idea di dotare la Procura europea di poteri antiterrorismo
«Il terrorismo, quando colpisce, non guarda ai confini nazionali. Questo è un importante riconoscimento della posizione che ha sostenuto l’Italia in questi anni, molto spesso in maniera isolata».