Matteo Orfini, cosa insegna la vittoria di Macron al centrosinistra italiano?
«Il fatto che si sia affermato un riformista europeista è la dimostrazione che i populisti si possono battere».
A vincere, però, non sono i socialisti. È un partito nuovo come En marche, dal profilo indistinto.
«Macron non nasce dal nulla, era un ministro del governo socialista che ha fatto una scelta legata a vicende specifiche di quel Paese. E dimostra che quando la sinistra evita di chiudersi in una deriva minoritaria e settaria, è ancora in grado di convincere».
Quando diventa qualcos’altro?
«No, questo non significa spostarsi al centro, ma mantenere un profilo riformista che è quello per cui in Italia è nato il Pd. Per questo spero che la marcia di Macron finisca in un Partito socialista europeo rinnovato e riformato».
C’è una parte di sinistra, quella del “né con Le Pen né con Macron”, che è rimasta a casa, rinunciando a dare vita a quel “fronte repubblicano” che aveva trionfato ai tempi di Chirac contro Le Pen padre. Cosa dice questo fenomeno al partito di Renzi?
«Che siamo davanti a un rischio molto forte. Siccome il mondo è rotondo, man mano che ci si sposta a sinistra si rischia di trovarsi a destra. O insieme alla destra. Guardo con sconcerto a una sinistra che denuncia il male del mondo con parole altisonanti, ma non fa nulla per spegnere l’incendio. Anzi, quando ne ha l’occasione, si volta dall’altra parte».
Un pericolo per l’Italia?
«No, perché nella storia della sinistra italiana, già ai tempi di Togliatti, questa deriva minoritaria e settaria fu limitata e arginata. In più fasi della nostra storia si è ripresentata la tentazione di riportarci indietro, ma la vocazione riformista ha sempre prevalso. Per fortuna c’è il Pd e per fortuna la sinistra italiana è il Pd».
È ingeneroso con quanto è nato a sinistra in questi mesi.
«L’unico in linea con la tradizione del riformismo italiano è il Pd».
In Francia esce sconfitto un populismo di destra che in Italia è minoritario. Mentre esiste una forza antisistema come il Movimento 5 stelle, non arginabile come destra. Un avversarto molto più temibile?
«Tutto dipende da noi. I 5 stelle sono forti quando la sinistra è debole. Non è un caso che nelle ultime settimane, rimettendo al centro la nostra discussione e chiamando i nostri a partecipare, il Pd torni a essere il primo partito nei sondaggi».
Un partito che però, a differenza di Macron, a volte insegue il populismo invece di sfidarlo. Come sull’Europa.
«Siamo una forza che ha la scelta europeista nel dna, ma voler bene all’Europa significa anche chiederle di cambiare. Secondo lei ha fatto bene al sentimento europeista del Paese aver votato il pareggio di bilancio in Costituzione? O la legge Fornero? Io credo di no. E credo che in questa sfida di cambiamento troveremo Macron al nostro fianco più di quanto non sia stato Hollande».
“Rosica” anche lei, come Renzi, davanti al ballottaggio francese?
«Non dobbiamo vivere di rimpianti. Quel modello da noi non c’è più per scelta degli italiani. Dobbiamo invece lavorare perché, quale che sia la legge elettorale, la sera delle elezioni il Pd possa festeggiare la vittoria».