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Orfini: “No l’accanimento terapeutico. Si voti al massimo entro giugno”

«Se devo esprimere la mia opinione, giugno è la data limite per il voto oltre la quale non si deve andare»: parola del presidente del Pd Matteo Orfini, che non avvalora la vulgata secondo cui le correnti interne del partito frenano la corsa verso le elezioni imposta da Renzi. «O c’è la volontà di fare una nuova legge elettorale, o ci saranno due leggi consegnate dalla Consulta per Camera e Senato con cui andare a votare. Nessuno capirebbe un accanimento terapeutico intorno a questa legislatura».
 
Lei cosa pensa del ritorno al Mattarellum lanciato da Renzi?
 
«Io preferisco un altro modello, un proporzionale corretto. Il Mattarellum ha moltissimi difetti e qualche grave responsabilità sul fallimento della seconda Repubblica: ha prodotto instabilità dei governi e trasformismo politico. Ma a differenza di altri, credo nel modo in cui funziona un partito: e dal momento che questa è divenuta posizione prevalente del Pd, la sostengo».
 
Al di là del sistema di voto, secondo lei l’onda lunga dei grillini si sgonfierà sulle secche delle vicende romane?
 
«Mi sembra già abbastanza sgonfiata. La vicenda Roma sta dimostrando che un conto è il qualunquismo becero e un altro la sfida del governo. In sei mesi sono tornate le rendite di posizione e non c’è stato nulla di concreto fatto per la città. E così per la sindaca sarà difficile reggere a lungo».
 
Perché avete deciso di non anticipare il congresso nazionale?
 
«Avevamo due opzioni: o il congresso immediato, che si sarebbe trasformato in una conta tra di noi con le modalità brutali previste dallo statuto. Oppure approfittare di questi mesi per discutere di cosa è accaduto. Ora serve un dialogo col paese per correggere gli errori fatti». Da anni, di fronte agli strappi di Bersani e compagni, dite che va trovata una modalità per stare insieme.
 
Quale?
 
«Questa domanda la rigiro alle minoranze. Quando mi candidai alle politiche nel 2013 mi fu fatto firmare un foglietto, secondo cui sui vari temi si votava nei gruppi ma in aula si doveva rispettare la linea del partito. Ora facesse Bersani una proposta: siccome ha cambiato idea ha l’onere di proporre un’altra soluzione. L’idea che esista un partito nel partito che si riunisce e decide cosa a fare a prescindere, non esiste. Così si distrugge il Pd. La mia ricetta è quella che mi fece firmare Bersani. Non sono d’accordo con il Mattarellum, ma mi adeguo».
 
Il partito ha bisogno di una cura choc, ma basterà un restyling della segreteria e un viaggio nei circoli e nelle sezioni?
 
«La richiesta di un intervento radicale l’ho fatta da mesi. Guardiamo i dati di sud e periferie: avevamo un governo che ha riportato il tasso di crescita del sud nella media nazionale e che ha investito molte risorse nelle periferie. Ed ha preso una sberla nel sud e nelle periferie. Ciò dimostra che non basta l’azione di governo. Noi a quel pezzo di paese risultiamo insopportabili e urticanti».
 
E perché?
 
«Per non aver capito che oltre all’aspirazione di veder migliorate le condizioni di vita, c’è quella di esser parte di un progetto di cambiamento. Cosa mai successa, perché noi non siamo uno strumento di cambiamento per il ragazzo che vive a Tor Bella Monaca o nel Mezzogiorno, ma un partito che passa il 95% del tempo a discutere di correnti e nomine. Anche se fai le cose giuste al governo, apparirai quanto di più respingente. Quindi serve un gruppo dirigente che si faccia carico di dare rappresentanza ai più deboli di questo paese».

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