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Il nostro impegno per fermare il massacro

Il bombardamento di un convoglio umanitario delle Nazioni Unite, la denuncia unilaterale da parte del regime di Damasco della tregua e la barbara offensiva militare in corso sulla parte orientale di Aleppo sembrano aver soffocato ogni speranza.

 

Le riunioni sulla Siria cui ho preso parte a New York la settimana scorsa hanno registrato questo senso di impotenza. Ma non possiamo arrenderci alla guerra. Aleppo ci interpella tutti.

 

L’Italia lavora per due obiettivi. Anzi tutto ribadire che non esiste una soluzione militare alla crisi. L’accordo raggiunto a Ginevra il 9 settembre scorso da Kerry e Lavrov aveva rappresentato il culmine degli sforzi russo-americani per ricomporre gli interessi in gioco: una transizione politica credibile e irreversibile, da un lato; il coordinamento della lotta ai gruppi terroristici, dall’altro. Iltutto nel quadro di un piano d’azione condiviso volto a rilanciare la transizione politica sotto la guida Onu di De Mistura. Per quanto difficile oggi possa apparire, dobbiamo impegnarci per riannodare quel filo.

 

La seconda linea d’azione riguarda il rapporto con la Russia. L’Italia è stata tra i Paesi che hanno valutato come potenzialmente positiva la presenza di Mosca in Siria, per l’influenza moderatrice che avrebbe potuto esercitare sul regime di Assad. Le cose sono andate diversamente. Mosca non ha indotto il regime e le varie milizie sciite che lo sostengono (libanesi, afghane, irachene) a mutare indirizzo: i bombardamenti indiscriminati sui civili sono continuati, gli assedi si sono irrigiditi, gli impegni internazionali assunti e le varie risoluzioni del Consiglio di sicurezza sono stati costantemente ignorati. Ecco perché è l’ora di rivolgere un messaggio fermo a Mosca.

 

È l’ora che la Russia dimostri di volere usare la sua influenza nei confronti del regime. Non farlo, significherebbe avallare il massacro, ma anche rinunciare al ruolo di grande potenza cui Putin aspira, per legarsi al destino fallimentare di Assad. La strategia attuale del regime di Damasco e dei suoi sostenitori rischia di rafforzare l’estremismo e di renderlo endemico per decenni. Non sarà possibile sradicare il jihadismo in Siria fino a quando Assad sarà libero di continuare a bombardare la sua stessa popolazione. Solo un processo politico che conduca ad una genuina transizione permetterà di dare una prospettiva unitaria e pacifica al Paese. Il conflitto in Siria dopo cinque anni e mezzo, ha causato almeno 400.000 morti e milioni di rifugiati. Questa guerra non avrà vincitore, può solo aggiungere altro sangue al sangue versato. Per questo va fermata.

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