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Franceschini: “No a rese dei conti. Creiamo un’alleanza”

Per quanto sia attraversata da forti divisioni, è un’area che ha sostenuto i governi Letta, Renzi e Gentiloni e amministra insieme regioni e comuni


Primo: «Non avrebbe senso intestare la sconfitta in Sicilia a Matteo Renzi». Secondo: «Non avrebbe senso usare strumentalmente il risultato per fini interni». Terzo: «Non avrebbe senso una resa dei conti nel Pd, che infatti non ci sarà».
Fissato il chiodo, Dario Franceschini si avventura in una scalata di nono grado con l’intento di raggiungere «in due settimane» la cima, cioè «un’alleanza tra le forze che stanno oggi nel campo del centrosinistra, da costruire in vista delle elezioni politiche».
Un’impresa al limite del possibile. E per riuscirci il ministro della Cultura si propone di seguire la via tracciata da Silvio Berlusconi per il centrodestra: «Talvolta a scuola si copia per essere promossi».
È il segno dei tempi. Ma c’è un «valido motivo» se, per parlare a Pierluigi Bersani e Giuliano Pisapia, Franceschini cita il Cavaliere. «L’onda populista che ha colpito l’Europa ha investito anche l’Italia. E il voto siciliano, che precede di qualche mese il voto nazionale, deve farci capire quale rischio stiamo facendo correre al Paese: consegnarlo alle forze antisistema. Ora, a fronte dei dati economici che ci descrivono in crescita, e a fronte della prospettiva di partecipare l’anno prossimo al processo di rilancio dell’Unione con un governo europeista, chiedo: davvero l’area di centrosinistra non ha interesse a reagire?».
 
Quel campo politico è un campo di battaglia.
 
«Lo so, le lacerazioni sono fresche e i rapporti complicati. Ma si può avere per una volta un approccio pragmatico? Il nuovo sistema di voto porta a costruire delle alleanze. Nei trecento collegi uninominali, dove vince chi prende un voto in più degli altri, questo campo non sarebbe competitivo se si presentasse diviso. Eppure questo campo esiste. Perciò rivolgo un appello a chi di questo campo è parte: per quanto sia attraversata da forti divisioni, è un’area che ha sostenuto i governi Letta, Renzi e Gentiloni, amministra insieme regioni e comuni».
 
E pensa possibile la nascita di una coalizione.
 
«Parlo di un’alleanza. Non mi rifaccio alle esperienze dell’Ulivo e dell’Unione. Non ci sono le condizioni né il tempo per riproporre simili modelli. Ma ognuno con il proprio simbolo e il proprio leader potrebbe collaborare alla costruzione dell’alleanza».
 
Quindi di Renzi non sarebbe più il candidato premier.
 
«Renzi è il leader del Pd. E lui per primo oggi dice che non si impone come candidato di una coalizione. D’altronde la nuova legge elettorale prevede solo il capo della lista. E allora perché accapigliarsi su un tema che non esiste? Guardiamo cosa ha fatto Berlusconi, che è sempre il più veloce ad adeguarsi ai cambiamenti. Il nuovo centrodestra si basa su un sistema di competizione interna. I partiti che ne fanno parte non avranno un candidato premier comune. I leader si mostrano litigiosi nella contesa del primato e continueranno a farlo: parlano a elettorati diversi, si sfidano tra loro. Ma questa sfida resta nel perimetro dell’alleanza. E alla fine i voti li sommano, non li sottraggono all’alleanza».
 
Ai «compagni» di Campo progressista e di Mdp propone di copiare Berlusconi.
 

Se fino a sei mesi fa siamo stati nello stesso partito, perché non potremmo stare nella stessa alleanza?


«Propongo di adattarci al nuovo sistema elettorale, come fa Berlusconi. E siccome il tema della premiership è superato, perché dovremmo continuare a dividerci inutilmente? Il Pd avrà come suo candidato il suo segretario, come dice il nostro statuto. Il campo di governo alla sinistra del Pd ne indicherà un altro, mantenendo la sua originalità. Stessa cosa potranno fare i centristi. In questo quadro di competizione, le forze potrebbero essere sommate e non si eliderebbero. Ritengo sia un’operazione doverosa: se fino a sei mesi fa siamo stati nello stesso partito, perché non potremmo stare nella stessa alleanza?».
 
Perché, più che uno spirito di collaborazione, prevale un reciproco desiderio di vendetta.
 
«E la vendetta sarebbe consegnare l’Italia a Grillo e Salvini? Conosco lo spirito che anima molte persone di buonsenso. So che ognuno avverte sulla propria pelle le ferite. E sia chiaro, io non sono equidistante, considero la scissione un errore. Ma invito tutti alla ragione, nel breve tempo che abbiamo a disposizione: sabato ci sarà l’Assemblea di Pisapia, poi la Direzione del Pd, infine l’Assemblea di Mdp. Il nodo va sciolto subito, sapendo che abbiamo nelle nostre mani il destino del Paese».
 
Se il dialogo inizia con il Pd che attacca Grasso… Che fa: non risponde? Silenzio dissenso.
 
«Esatto».
 
Possibile non ci sia spazio per l’autocritica nel Pd
 
«Non siamo riusciti a mettere a frutto i risultati positivi dell’azione dei nostri governi, che…».
 
…Ministro, mi riferivo a Renzi: lei rilancia una proposta che a luglio la portò a un duro scontro con il suo segretario.
 
«A me interessa la sostanza. Nei momenti in cui ho avuto opinioni differenti da Renzi non ho esitato a esprimerle. Se oggi faccio questo appello è perché credo sia necessario trovare un minimo comun denominatore tra centristi, Pd e sinistra di governo: insieme potremo essere competitivi, divisi saremo colpevoli. Da dirigente di partito, penso sia giusto all’occorrenza esprimersi in maniera diversa dal segretario. Ma poi il segretario va sostenuto».
 
Ricorda Forlani.
 
«Ricordo che la Dc le elezioni le vinceva».

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