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Nannicini: pensioni, tre soluzioni per l’uscita anticipata

“Per le pensioni anticipate è possibile un piano di interventi calibrati su tre tipologie”. Lo afferma il sottosegretario Tommaso Nannicini in un’intervista al Messaggero. “Non è facile far quadrare i conti pubblici con interventi che aumentano la flessibilità in uscita- spiega -. Stiamo ragionando su come farlo. Il problema è che un intervento di questo tipo ha costi di cassa di circa 5-7 miliardi: lo Stato infatti deve anticipare la pensione a chi va prima, poi recupera una parte di questi soldi con una penalizzazione, ma per la finanza pubblica c’è un costo di cassa per i primi 10-15 anni molto elevato”, “l’unico modo per scendere sotto queste cifre è trovare una soluzione tecnica che non cambi nulla per il pensionato che chiede l’anticipo all’Inps. Ma in forza della quale una parte dell’anticipo viene intermediata dal sistema finanziario”.

 

“Ci sono tre categorie”, spiega il sottosegretario: “La prima è quella delle persone che hanno una preferenza ad andare in pensione prima, ad esempio la nonna dipendente pubblica che vuole accudire i nipotini. La seconda è quella di chi ha necessità di andare in pensione anticipatamente, in quanto ha perso il lavoro e non ha ancora i requisiti d’uscita. La terza categoria sono i lavoratori che l’azienda vuole mandare in pensione prima per ristrutturare l’organico aziendale. Ebbene, si potrebbe provare a creare un mercato di anticipi pensionistici, che oggi non c’è, coinvolgendo governo, Inps, banche, assicurazioni. In questo schema, la prima categoria può andare in pensione ma con una penalizzazione leggermente più forte. Alla seconda categoria la penalizzazione gliela paga in buona parte lo Stato. Per la terza sono le aziende a coprire i costi dell’anticipo. In sintesi non sarebbe lo Stato a versare l’anticipo, ma si limiterebbe a coprire una parte dei costi con un’assicurazione a garanzia del rischio morte. AI momento è solo una delle ipotesi allo studio, ma potrebbe essere quella che fa quadrare il cerchio tra la forte richiesta di flessibilità e la sostenibilità della finanza pubblica”.

 

La flessibilità e l’occupazione giovanile “non sono del tutto connessi. Il problema dei giovani è che entrano troppo tardi nel mondo del lavoro e hanno esperienze segmentate e saltuarie, tanto da impedire un adeguato risparmio previdenziale. Non penso però che la risposta alla disoccupazione giovanile siano i prepensionamenti, ma in ciò che abbiamo cominciato a fare con il Jobs Act cambiando il mercato del lavoro e mettendo al centro il contratto a tempo indeterminato”, afferma Nannicini, che aggiunge: “Gli obiettivi del Jobs Act erano due. Il primo: allineare la creazione dei posti di lavoro alla ripresa dell’economia, facendo in modo che non appena ripartisse l’economia le imprese non avessero più paura ad assumere. Il secondo obiettivo era creare occupazione di qualità, stabile. Tutti e due gli obiettivi sono già stati raggiunti”.

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