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Morassut: «Diamo più spazio al civismo»

Ci saremmo dovuti arrivare già da anni a cambiare la struttura del Pd. Ora Zingaretti va in questa direzione ma è molto importante il profilo che prenderanno discussione e forma del nuovo partito.

Roberto Morassut, storico esponente del Pd romano e autore del libro “Democratici” (Ponte Sisto editore) da tempo si batte per rivoluzionare il Pd.

Quali sono le ragioni di questa battaglia.

«Nel 2016 perdemmo prima Roma e poi il referendum. Il Pd non funzionava più e che andava messo in discussione».

Cosa non funzionava?

«L’orizzonte valoriale del Pd va consolidato perché viviamo in un mondo dove la democrazia è un tema sempre più importante visto l’aumento delle disuguaglianze, la presenza diffusa di stati oligarchici e forme escludenti e gerarchiche della politica».

E allora?

«Allora del Pd resta attuale l’aggettivo, “democratico”, ma non più il sostantivo, “partito”».

Perché?

«Siamo circondati da forme partecipative sempre più mobili, in trasformazione, molto elastiche. Esistono nella società molti movimenti senza forma strutturata. Noi dobbiamo coinvolgerli. Il mondo sta cambiando: è in arrivo una generazione “democratica” che guarda al mondo e ai suoi rischi. E’ una rivoluzione dei diritti che dobbiamo interpretrare perché condannerà presto il sovranismo».

Anche i 5Stelle sono “elastici”.

«Hanno connotazioni gerarchico-aziendaliste, per questo sono in crisi».

E il nuovo Pd “aperto” non correrebbe questo rischio?

«C’è il momento della destrutturazione e quello della costruzione. Adesso dobbiamo superare la struttura del Novecento».

Dunque addio alle “sezioni”.

«Serve andare oltre le nostre sezioni non chiuderle ma arricchirle. Semplifico: gli iscritti del Pd a Roma sono poche migliaia, i volontari che tengono in piedi la città lavorando nei quartieri con senso civico sono enormemente di più. Dobbiamo aprirci a loro».

E come?

«Non servono strutture verticali ma circolari. Strutture che siamo aperte a tutte le forme di civismo nel tentativo di federarle. Per questo a mio giudizio dovremmo chiamarci “Democratici” per essere il movimento di tutte le forme partecipative».

Un processo complesso.

«Servirebbe un documento unificante sui nostri valori elaborato da un gruppo di intellettuali, penso a figure come Carofiglio, Maira, Cacciari, Odifreddi e ovviamente tanti altri. Questo documento andrebbe discusso in assemblee sul territorio, nelle università, nelle fabbriche, e intorno ad esso dovrebbe costituirsi un partito-movimento. La sinistra serve ad unire intellettuali a popolo altrimenti non esiste».

Niente Congresso dunque?

«No a un Congresso da partito del ‘900, né le solite primarie. Ma una Costituente dei Democratici».

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