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Morani: Stesso lavoro, stesso salario

Lo dico subito: sono per le quote rosa perché stanno aiutando a cambiare la cultura del paese, ma da strenua sostenitrice del merito senza recinti di protezione, non vedo l’ora che non ci siano più. Penso che sia arrivato il momento di pretendere non solo le pari opportunità di partenza ma anche quelle di arrivo, sapendo che la condizione essenziale per la libertà e l’indipendenza delle donne è la libertà economica. Dunque, parliamo di lavoro, parliamo di soldi, parliamo della vita quotidiana delle donne che stanno fuori dalle istituzioni.

 

La rappresentanza femminile è fondamentale, così come lo sono i governi paritari e la presenza delle donne nei ruoli apicali della società.

Perché la forma è sostanza, lo sappiamo bene, ma la sostanza è fatta di battaglie concrete su cui si gioca il futuro delle donne, proprio come quella delle dimissioni in bianco che siamo riusciti a cancellare. E ancora sul lavoro torniamo, sempre lì.

 

Oggi la vera questione ha a che fare più con i soldi che con le mimose, per dirla con una battuta.

Vogliamo parlare di contenuti? Eccone uno straordinariamente importante: la parità salariale.

È una battaglia basilare, che riprende quello spirito riformista per cui il Pd è nato e sulla cui strada deve continuare.

 

Una battaglia difficile perché in molti ci provano da decenni, con leggi e sistemi poco efficaci, e il problema resta lì. La disparità salariale nel nostro paese raggiunge un gap di oltre il 16%, trascinandoci al fondo delle classifiche mondiali sul”gender gap”.In Inghilterra è nato un movimento politico che si richiama al celebre “MeToo” ed è ormai noto sotto l’hashtag#PayMeToo.

 

Ora, è bene ricordare che una legge in Italia già esiste e obbliga le aziende con più di 100 dipendenti alla trasparenza retributiva, ovvero a divulgare le buste paga anonime ma divise per genere in modo da aver conto delle disparità. Peccato che di fatto i dati non ci siano o siano insufficienti. Cosa fare? Rivedere quella legge e renderla più efficace e contemporanea. In parlamento, come primo impegno, possiamo creare un intergruppo ad hoc e incontrare le parlamentari britanniche per un confronto.

 

Le modalità che possono portare le aziende a una regola di equità per i trattamenti economici possono essere molte, penso ad esempio a incentivi per quelle virtuose. La parità salariale deve diventare un indicatore di performance positivo per l’azienda e tradursi in politiche incentivanti, ma accanto alla legge è necessario sviluppare una cultura positiva sul tema della parità salariale. Faccio un esempio “pop”: avete presente quello che ha fatto Robin Wright, la Claire di House of Cards, quando ha saputo che il suo collega Kevin Spacey guadagnava più di lei? Ha preso la Netflix per il bavero e l’ha messa di fronte al minutaggio con una semplice ma efficacissima domanda: come mai se lavoriamo lo stesso tempo il mio compenso è inferiore? L’azienda è stata costretta a rimediare alla disparità dei coniugi Underwood e almeno un po’ di giustizia è stata fatta.

 

In Italia e nella nostra realtà che fare? Come rifondere quello che è stato giustamente definito come “il più grande furto della storia”? Intanto cominciamo a chiedere quanto prendono i nostri colleghi: lo stipendio non è un segreto da confessionale, è nostro diritto chiedere e dobbiamo fare in modo che sia loro dovere, dell’azienda, rispondere e armonizzare.

Ma non c’è soltanto il problema delle disparità salariali: non è in ballo solo la quantità e il suo compenso, ma anche la qualità del lavoro femminile.

 

Le donne hanno da sempre un lavoro più precario e spesso interrotto nell’arco della vita dagli impegni famigliari: per loro ci sono più contratti a termine che a tempo indeterminato, più part-time involontari che tempi pieni. Il lavoro delle donne è in linea di massima più povero e più precario e non esiste una sola ragione al mondo perché sia questa, ancora oggi, la realtà. Non dimentichiamo mai che quello che facciamo adesso, le nostre conquiste, gli avanzamenti e gli esempi, saranno lasciati in eredità ai nostri figli: l’obiettivo non deve essere mettere le bandierine, ma migliorare il paese. A partire dalla vita delle donne.

 

Articolo pubblicato sul blog di Alessia Morani – Huffington Post

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