È sabato, il numero due del Tesoro italiano Enrico Morando al telefono è spiccio: «Devo occuparmi dei nipoti».
Standard and Poor’s vi dà soddisfazione, però qui manca il testo definitivo della Finanziaria per il 2018. In consiglio dei ministri l’avete approvata quasi due settimane fa. Che fine ha fatto? Ci sono problemi con la Ragioneria? O forse con il Quirinale?
«E’ una legge con un certo grado di complessità, manca poco. Ci sono alcuni dettagli tecnici da mettere a punto, lunedì verrà depositata in Senato».
La Commissione europea chiede chiarimenti sui vostri impegni proprio riguardo al 2018. Forse il ritardo nel depositare quel testo dipende da questo? Cosa risponderete?
«Non sono preoccupato. Già a primavera la Commissione parlava di ampi margini di discrezionalità nella valutazione delle politiche di bilancio. Abbiamo dimostrato e dimostreremo che il maggior deficit serve a sostenere la crescita e dunque in ultima analisi a ridurre il debito. Quest’anno ci riusciremo».
Non sarete costretti a una correzione in corso d’opera?
«Lo escludo».
Quando risponderete alla Commissione?
«Martedì».
Non è sorpreso dalla promozione di Standard and Poor’s? In fondo il contesto politico meriterebbe il contrario.
«Lo dice l’agenzia stessa: se il quadro politico fosse più stabile, quel giudizio sarebbe migliore. La promozione la dobbiamo alla crescita della produzione industriale, degli investimenti, al calo della disoccupazione giovanile. Alla luce degli ultimi dati le nostre stime dicono che la crescita di quest’anno dovrebbe essere superiore al +1,5 per cento già scontato da molti analisti».
Non canti vittoria: a gennaio il piano di acquisti della Banca centrale europea si dimezza, e allora inizieranno i guai.
«Non c’è da allarmarsi. È evidente che il processo di uscita dalla moneta a costo zero sarà estremamente lento. Per noi è positivo poi che Draghi abbia lasciata aperta la porta ad un prolungamento anche oltre settembre 2018».
Come fa ad essere così ottimista? I tedeschi su questo daranno battaglia, e poi cominciano a scarseggiare i Bund acquistabili dall’Eurotower.
«L’inflazione è ancora ampiamente sotto l’obiettivo del due per cento, in Italia e non solo: per Draghi è un argomento decisivo. Segnalo peraltro che se i prezzi salissero un po’ più rapidamente il rapporto debito-pil se ne avvantaggerebbe».
Draghi lamenta il fatto che i salari crescono troppo poco un po’ ovunque nell’Unione. Una volta era il mestiere dei sindacalisti, ora queste cose le dicono i banchieri centrali. Forse può fare qualcosa il governo?
«Certo che possiamo. Una delle strade è alzare il tetto per la tassazione forfettaria al dieci per cento del secondo livello di contrattazione. Gli accordi aziendali premiano la produttività, che va pagata».
Oggi il tetto è per i redditi fino a 80mila euro e il premio non può generalmente superare i tremila euro. È una proposta o una notizia?
«Potrebbe diventare oggetto di una decisione del Parlamento durante la conversione del disegno di legge».
Non è anche un problema di imprese e sindacati?
«Senza dubbio. Quello dei salari nei Paesi di vecchia industrializzazione è un problema strutturale, e lo dimostra il fatto che nonostante gli sforzi di Draghi – ormai vicini al limite l’inflazione resta debole. È lo spirito del tempo: per ragioni abbastanza intuitive i Paesi emergenti frenano i salari in Paesi come il nostro».