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Misiani: il concordato fiscale preventivo del governo Meloni è un triplo disastro

“Un triplo disastro. Per la fortissima iniquità dell’operazione, per la deludente risposta dei contribuenti e per il rischio concreto di una voragine nei conti pubblici. Di fatto, la pietra tombale sulla fallimentare riforma fiscale del governo Meloni. È questo il bilancio del concordato preventivo biennale” secondo Antonio Misiani, senatore PD e responsabile economico della segreteria nazionale del partito.

Un disastro innanzitutto sul piano dell’equità: il governo, per raccattare le risorse con cui immaginava di tagliare le tasse al ceto medio, ha via via allentato tutti i criteri inizialmente previsti, allargando il concordato a tutti i contribuenti a prescindere dal loro indice di affidabilità, prevedendo aliquote super scontate per i redditi incrementali e addirittura una sanatoria a costo quasi zero per i redditi 2018-2022. Quello che all’inizio era stato presentato come uno strumento innovativo ispirato ad un approccio collaborativo tra l’amministrazione e i contribuenti è stato trasformato in una vera e propria svendita di fine stagione per lo Stato a favore degli evasori e a danno dei contribuenti in regola, a partire dai tanti lavoratori autonomi e forfettari che fanno il loro dovere fino in fondo.

Secondo disastro: il tasso di adesioni, bassissimo nonostante le condizioni di assoluto favore, la riapertura in extremis dei termini di adesione fino al 12 dicembre e l’affannosa campagna di comunicazione a colpi di centinaia di migliaia di messaggi minacciosi ai soggetti interessati. A conti fatti, hanno aderito 584 mila contribuenti, il 13 per cento della platea potenziale. Un esito prevedibile, se pensiamo alla diminuzione dei controlli (che tra il 2022 e il 2023 si sono ridotti dal 5,3 al 4,2 per cento del totale dei contribuenti ISA) e ai continui messaggi di allentamento della lotta all’evasione lanciati dal governo di destra sin dal suo insediamento. Di fatto, ha scelto il concordato preventivo solo chi ne ha ricavato una convenienza economica diretta, avendo la certezza di pagare molto meno di quanto avrebbero dovuto secondo le regole pre vigenti e usufruendo del condono 2018-2022 a prezzi stracciati. Chi evadeva, continuerà ad evadere, con la sostanziale certezza di rimanere sostanzialmente indisturbato.

Terzo disastro, il gettito. Se il governo aveva sperato fino all’ultimo di ricavare dal concordato le risorse utili per ridurre l’IRPEF sul ceto medio, questo obiettivo è stato clamorosamente mancato. Gli incassi sulla carta ammontano a poco più di 1,5 miliardi in due anni, una cifra nettamente inferiore alle aspettative, non rappresentano in nessun modo gettito aggiuntivo e non hanno alcuna natura strutturale. Viceversa, è assai probabile che il saldo finale dell’operazione sia fortemente negativo: la tipologia di contribuenti che hanno aderito – essenzialmente coloro che avrebbero pagato più tasse senza il concordato – e l’alto rischio di frodi e abusi rende concreta la prospettiva di una futura voragine nei conti pubblici. Altro che meno tasse per il ceto medio.

Il pericolo è che a tappare il buco di bilancio provocato dal concordato siano chiamati i soliti noti, quelli che le tasse le hanno sempre pagate fino all’ultimo euro”. “Di fatto” – conclude Misiani “il flop del concordato è evidente e segna il fallimento della riforma fiscale fortemente voluta dal vice ministro Leo”.

 

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