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Minniti “L’accordo con la Libia va rinnovato o la situazione precipiterà”

«In pieno allarme rosso, con il rischio di una drammatica crisi umanitaria e della liberazione in Siria di migliaia di foreign fighter che per tornare in Europa possono passare dalla Libia, strappare unilateralmente gli accordi con Tripoli può destabilizzare ancora di più».

Marco Minniti, ex ministro dell’Intemo a cui si deve il memorandum di accordo con la Libia, rilancia sulla sicurezza. E sul piano umanitario dice: «È il momento di svuotare i centri di accoglienza libici».

Minniti, il memorandum di accordo con la Libia è una sua eredità. Va riconfermato o revocato?

«Valuterà il governo. La mia opinione è che quell’accordo aveva un valore quando è stato siglato, e non a caso è stato immediatamente sottoscritto dalla Ue, e ha ancora più valore oggi nell’attuale situazione libica e internazionale».

Dice così perché pensa che quanto sta accadendo in Siria aggravi la crisi libica e le conseguenze per l’Italia?

«Le cose vanno viste in strettissima relazione. Tra Siria e Libia ci sono centinaia di chilometri di distanza, ma non è possibile separare ciò che appare drammaticamente collegato. Il ritiro americano dalla Siria del nord è un azzardo senza precedenti e la rottura di qualunque principio alla base delle relazioni internazionali. La comunità internazionale ha chiesto ai curdi di combattere contro l’Islamic State, di impegnarsi per noi. E ora sembra che abbiamo dimenticato tutto. Questa guerra di aggressione intrapresa dalla Turchia va fermata subito».

Allarme rosso anche per i flussi migratori?

«Il rischio è una drammatica crisi umanitaria ma non perché Erdogan “libera” i siriani che sono ora in Turchia. Ospitalità peraltro frutto di accordi per cui l’Europa ha versato 6 miliardi di euro ad Ankara. La crisi umanitaria può venire da coloro che scappano dalla Siria del Nord, dove ci sono 300 mila sfollati. Se dovesse esserci un conflitto diretto tra siriani e turchi, marciamo sull’orlo dell’abisso. E poi c’è la liberazione dei foreign fighter».

Un effetto domino?

«Sì, questo rischio è molto forte. Una delle rotte che i foreign fighter possono seguire verso l’Europa è l’Africa settentrionale. Il combinato disposto della crisi siriana e della guerra civile in atto in Libia può fare diventare alcuni territori libici un rifugio sicuro per i terroristi dell’Islamic State che scappano dalla Siria. E aggiungo che sottoscrivo convintamente l’appello di Repubblica alla Ue per il popolo curdo».

La Libia non è un porto sicuro. Perché ha valore l’accordo?

«Proprio perché è in corso una guerra civile. Una disdetta unilaterale da parte di uno dei contraenti dell’accordo potrebbe rivelarsi ulteriormente destabilizzante. La Ue piuttosto deve predisporre un piano straordinario per svuotare i centri di accoglienza libici. Deve farlo di intesa con Unione africana e Onu attraverso i corridoi umanitari. Va inoltre riattivato il meccanismo dei rimpatri volontari assistiti. L’Oim in pochi mesi ha rimpatriato più di 25mila persone. Ma senza quella cornice internazionale di accordi temo che niente potrebbe esserci».

La Guardia costiera libica si è macchiata di violazioni dei diritti, di traffici d’uomini. Ci sono le documentazioni dei lager libici. Perseverare non è diabolico?

«Il decadimento delle istituzioni, la corruzione dilagante sono anche l’esito di un intervento della comunità internazionale che ha distrutto il vecchio assetto – e io certo non ho alcuna nostalgia di Gheddafi – senza avere una visione del futuro. In ogni caso quegli accordi consentono oggi all’Onu di operare in Libia, senza di questo mancherebbero i presupposti più elementari di qualsivoglia missione umanitaria. Ma ora va rimessa in mare la missione Sophia che aveva come obiettivo il contrasto ai trafficanti di esseri umani e il presidio del Mediterraneo».

Ma si può ancora sostenere con motovedette, supporto tecnologico e finanziamenti la guardia costiera libica che poi riporta in quei lager i migranti?

«Vorrei ricordare che fino al maggio 2018 operava nel Mediterraneo centrale un sistema di ricerca e salvataggio in mare coordinato dalla Guardia costiera italiana di cui facevano parte Ong, missioni europee, Guardia costiera libica. Stiamo parlando di sicurezza. Non poteva e non può esser lasciato il peso della sicurezza sulle spalle della Guardia costiera libica. Così ho detto, quando si è trattato di motivare la non partecipazione del Pd al voto di rifinanziamento della missione. Sono della vecchia guardia, abituato a parlare dall’opposizione come se stessi
governando: così la penso oggi».

Con la maggioranza di 5Stelle e Pd, sta cambiando qualcosa in fatto di accoglienza?

«Noi abbiamo un’urgenza: cambiare i decreti sicurezza. Non lo dico per
partecipare alla moda di piantare la propria bandierina. Coni due decreti sicurezza i giallo-verdi hanno di fatto cancellato la parola integrazione dal vocabolario del nostro paese. Ma la storia ci ha insegnato che un paese che meglio integra è un paese più sicuro. Un disegno che va completato con lo ius soli che è, vorrei ricordarlo, una legge non sull’immigrazione, ma sull’integrazione».

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