«Un paese che lotta contro il coronavirus non può avere sul proprio territorio persone che sono fantasmi senza identità, irrintracciabili, che vivono in baraccopoli illegali potenziale focolaio di epidemia. Non è agli stranieri che facciamo un favore regolarizzandoli, ma all’Italia perché ne va della salute pubblica».
Marco Minniti, ex ministro dell’Interno del Pd, trascorre nella sua casa in Calabria da solo, il continamento di questi giorni, salvo gli spostamenti a Roma quando è chiamato a votare alla Camera. Lancia l’allarme.
Minniti, con l’emergenza coronavirus crescono anche le emergenze economiche e sociali. Quali rischi vede?
«Il rischio è che con la pandemia si rompa qualcosa di molto profondo nel tessuto connettivo del nostro paese e delle democrazie più in generale. Stare a casa è una drammatica necessità, ma non è una strategia per una democrazia. Nulla sarà più come prima. Dobbiamo prevedere la perdita di lavoro, accompagnata al dolore della perdita delle vite. Un abbassamento rapido del tenore di vita per milioni di persone».
La destra accusa il governo di anteporre agli italiani, gli immigrati e la regolarizzazione delle migliaia di lavoratori irregolari che lavorano soprattutto nei campi. Secondo lei, è una priorità?
«Penso ci voglia un grande patto con il mondo del lavoro agricolo in tre tappe: lotta contro il caporalato, contratti di lavoro regolari, permesso di soggiorno. Non c’è solo il problema della stagione di raccolti, che può diventare fondamentale trasformandosi in emergenza alimentare.
Il punto è che un paese che lotta contro l’epidemia non può avere fantasmi senza identità, che non siano rintracciabili o che vivano in baraccopoli illegali e prive di qualunque garanzia sanitaria».
Ci sono quartieri ghetto e la condanna degli invisibili, come scrive Tito Boeri su “Repubblica”. Cosa fare?
«Non si può ragionare con gli schemi del passato. Oggi il massimo del realismo è il massimo dell’innovazione. Regolarizzare i lavoratori stranieri non è un favore fatto a loro, ma all’Italia, perché ne va della salute pubblica. Abbiamo bisogno urgente di una legge sull’immigrazione che gestisca attraverso la nostra rete diplomatica gli ingressi regolari dai paesi di provenienza».
Malgrado il coronavirus, gli sbarchi continuano. È d’accordo con il governo che chiude i porti?
«Le migrazioni sono un dato strutturale del pianeta, nemmeno il Covid-19 le ferma. Condivido le scelte del governo. È inevitabile che nell’emergenza si facciano scelte senza precedenti come la quarantena sulle navi. Però la contrapposizione tra salute eumanità è inaccettabile.
Così si perde una democrazia. Lo spartiacque è tra salute/legalità contrapposto a illegalità/pandemia. Il coronavirus non allontana l’Europa e l’Africa ma li stringe in destini intrecciati. Dobbiamo pensare a corridoi umanitari. Vanno svuotati i centri di accoglienza della Libia con una iniziativa europea, che coinvolga Unione africana, Onu e Ong».
Ma lei teme per la democrazia e vede un’opportunità per le mafie?
«Sì. Le mafie sono pronte a sostituirsi allo Stato davanti a una sua eventuale assenza. Di fronte alla mancanza di reddito, di lavoro e di credito possono intervenire. Il quotidiano tedesco Die Welt ha posto la questione in modo inaccettabile, però la sfida c’è. Condivido la preoccupazione dei magistrati in prima linea e della ministra Lamorgese.
Inoltre non è pensabile che non ci sia il presidio dell’Autorità anti corruzione, ci vuole un presidente, senza nulla togliere alle capacità del facente funzioni. Un impegno d’onore: nemmeno un euro deve ingrossare le mafie».
Si pente del suo patto con la Libia?
«Quell’accordo consentì di contrastare i trafficanti, riportare l’Onu in Libia. Dopo c’è stato un accordo di cooperazione militare tra la Turchia e Tripoli, che ha portato là militari di storia jadista. A Bengasi sono arrivati i contractors russi della Wagner. Turchia. Russia. In Libia! Una Libia che somiglia ogni giorno di più alla Siria».