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Salizzoni: Sono indipendente e di sinistra e corro più di Casaleggio jr.

È il mago dei trapianti di fegato. È il più votato alle scorse elezioni comunali a Ivrea. È il possibile candidato presidente, l’anno prossimo, della Regione Piemonte. Il professor Mauro Salizzoni, nato a Ivrea 69 anni fa e chirurgo di fama internazionale che opera alle Molinette di Torino, ha tre passioni: la chirurgia, ma rigorosamente in ospedali pubblici; la politica, ma solo se è decisamente di sinistra; e la corsa, lungo il Po a Torino o alla Ivrea-Mombarone, 21 chilometri quasi tutti in salita. “Fino a qualche anno fa correvo tutti i giorni, ora mi alleno due, tre volte alla settimana”.

Ha sempre battuto Davide Casaleggio: alle elezioni comunali e correndo alla Ivrea-Mombarone.
Finora sì, sono sempre arrivato in cima al Mombarone, 2.300 metri, prima di Davide, che come me non manca mai a questa classica. Adesso però lo vedo in tv molto tirato, forse si sta allenando, chissà se riuscirò a batterlo anche alla prossima edizione.

Intanto lei ha sconfitto i Cinquestelle in una loro città-simbolo, Ivrea, dove ha ottenuto il record di preferenze.
Ivrea è la città dove ha lavorato Gianroberto Casaleggio e dove ha casa suo figlio Davide. Ma dal punto di vista politico, lì il Movimento 5 Stelle non ha grande radicamento. Così è rimasto escluso dal ballottaggio, che si svolgerà tra il candidato del centrosinistra e uno della Lega. Quanto a me, è vero, ho avuto un buon numero di preferenze, 437, come indipendente nelle liste del Pd. Ripeto: indipendente. A Ivrea, la mia città, farò il consigliere comunale con grande impegno. È un momento difficile per la parte politica a cui sento di appartenere.

Perché ripete “indipendente”? Dica la verità: a lei, vecchio comunista non pentito, Matteo Renzi non è mai piaciuto.
Ci ho provato all’inizio a farmelo piacere ma è durata pochissimo. Io sono stato iscritto al Pci fin dagli anni dell’università, sono stato negli organismi direttivi del partito, ma poi è prevalsa la mia passione per la medicina. Sono stato tra i primi iscritti di Rifondazione comunista, quando però sono arrivate le divisioni mi sono stufato. Basta impegno diretto nei partiti, ma passione politica sempre, fedele ai valori della sinistra.

È amico di Sergio Chiamparino, l’attuale presidente del Piemonte.
Sì, lo conosco da tantissimi anni. Qualche volta corriamo insieme nel parco del Valentino o lungo il Po.

È vero che le ha chiesto di fare il candidato presidente alla Regione, il prossimo anno, nel caso Chiamparino non si ricandidi?
Ne abbiamo parlato, io ho dato la mia disponibilità, ma non è deciso niente. Si vedrà.

Con i Cinquestelle come va? Ha incontrato la sindaca di Torino Chiara Appendino e il vicesindaco Guido Montanari.
Sì, per parlare della Città della Salute. L’ospedale dove lavoro, le Molinette, è come una vecchia auto che non ce la fa più. Va costruito il nuovo polo della sanità torinese, sull’area ex Avio del Lingotto. La competenza principale è della Regione, ma anche il Comune può e deve dire la sua. Ne ho parlato con Appendino e Montanari e ho trovato un’ottima attenzione. L’anno prossimo spero ci sia la posa della prima pietra.

In trent’anni di carriera, ha fatto oltre 3 mila trapianti.
Siamo a più di 3.200 interventi in 28 anni. Non da solo: li ha fatti il Centro trapianti dove lavoro con i miei collaboratori, tutti bravissimi.

A novembre, raggiunti i 70 anni, andrà in pensione. Ha scelto di restare a lavorare alle Molinette. Gratis.
Mi pagano l’assicurazione, altrimenti non potrei operare. Sono contento di continuare a dare una mano ai miei ragazzi.

Potrebbe andare a operare in qualche clinica privata.
È contro la mia mentalità.

Lei è sempre stato fedele alla sanità pubblica. Nel privato avrebbe guadagnato 10, 15 volte di più. Oggi sarebbe ricchissimo.
È vero, ma non sono poverissimo anche così. Sono convinto che la sanità pubblica deve avere la priorità. E qui che arrivano le patologie più complesse e tutti devono avere il diritto a essere operati. La salute è un bene pubblico, non un commercio.

Lei taglia il fegato da trapiantare con le mani, senza bisturi. È una leggenda?
Il chirurgo è sempre rappresentato con il coltello in mano. Ma il bisturi serve per lo più per aprire l’addome, poi si usano altri strumenti, pinze, forbici. E le mani, sì: niente di sciamanico, è una tecnica che migliora i risultati dei trapianti e che ho imparato tanti anni fa in Vietnam, dopo essere stato in Belgio e negli Stati Uniti.

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