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Martina: “Distretti del cibo per l’Italia, nuovo strumento per le imprese agricole”

“Con la nuova legge l’Italia si doterà di Distretti del Cibo: si tratta di un nuovo strumento a disposizione di imprese agricole, cittadini, associazioni ed enti locali, per costruire piani di sviluppo pluriennali e accedere a finanziamenti dedicati. Così da fare di ogni città e ogni territorio dello Stivale un laboratorio originale di food policy”: lo ha svelato a Italia Oggi il ministro alle politiche agricole, Maurizio Martina, raggiunto nel pieno della settimana che introduce al G7 agricoltura di Bergamo, a pochi giorni dall’evento. Martina non rifiuta di entrare tra le pieghe del mercato alimentare globale, analizzandone le contraddizioni. Si dice contrario al glifosato, ma conferma piena apertura agli accordi di libero scambio. Tracciando anche la rotta per lo sviluppo di una via italiana alle biotecnologie.

Ministro il 14 e 15 ottobre l’Italia ospiterà a Bergamo il G7 agricoltura. Quali sono temi e obiettivi?

«Tutela del reddito degli agricoltori dalle crisi e sviluppo della cooperazione agricola internazionale. Sono le due chiavi centrali che abbiamo voluto porre al centro della discussione. Produrre meglio con meno è l’obiettivo che sintetizza il nostro lavoro. Sono questioni di giustizia ed equità che si collegano strettamente alla necessità di garantire il diritto al cibo a tutte le latitudini. Dopo Expo Milano, l’Italia torna protagonista a livello mondiale su questa sfida».

Una importante sessione dell’appuntamento riguarda il piano Fame zero della Fao. A che punto siamo?

«Abbiamo fatto un passo indietro, lo dicono i numeri della Fao. Nel 2016 anche a causa di guerre e carestie le persone affamate hanno superato di nuovo gli 815 milioni. Proprio per questo da Bergamo vogliamo rilanciare la necessità di azioni concrete e immediate per sradicare la fame. Per farlo serve anche più agricoltura, soprattutto più tutela per i piccoli agricoltori.

In coerenza con il G7 di Taormina avete deciso di invitare la rappresentante dell’Unione africana. Che spazio può avere la cooperazione agricola anche per la gestione del fenomeno migratorio?.

«E cruciale. È un pezzo fondamentale di qualsiasi accordo bilaterale con ì Paesi africani o asiatici. L’Italia soprattutto. E gli ultimi anni ha rilanciato il proprio impegno nella cooperazione, con programmi anche di condivisione della ricerca e di trasferimento di know how, come il progetto “Prima” Partnership ,for Research and hinovation in the Mediterranean Area che unisce le sponde del Mediterraneo. Abbiamo fortemente voluto con noi Josefa Sacko, commissaria all’agricoltura dell’Unione africana. Così come Carlo Petrini e le organizzazioni Onu come Fao, Ifad, Wfp. Dobbiamo rilanciare l’impegno internazionale per modello agricoli più competitivi e sostenibili a livello economico, ambientale e sociale».

Il G7 agroalimentare arriva nel bel mezzo di uno scontro tra titani. Da un lato l’Europa spinge sull’acceleratore con gli accordi di libero scambio. Dopo il Ceta, il Marocco e il Vietnam, negozia col Giappone e il Messico. Dall’altro, gli Stati Uniti principale mercato di sbocco per le produzioni italiane stoppano il Ttip e revocano il TTp con il mercato asiatico. Al di la della forbice ideologica globalisti/sovranisti, quali interessi legge dietro questo scontro?

«Sono convinto che regole giuste in mercati aperti siano una necessità per i nostri piccoli produttori. Non sono le multinazionali ad avere bisogno di protezione per affrontare le sfide della globalizzazione. Giusto discutere e approfondire in trasparenza il contenuto degli accordi internazionali, ‘ ma chi vuole alzare muri e barriere rischia di condannare a morte il tessuto di piccole e medie imprese italiane vocate alle esportazioni. Dal 2010 le nostre esportazioni sono cresciute dell’85% passando da 20 a 36,8 miliardi di euro. Senza molte aziende non avrebbero superato la crisi. Uno studio Ismea ci dice che il rischio potenziale di dazi in Usa costerebbe oltre 300 milioni di euro, peggio dell’embargo russo. Anche al G7 lavoreremo per il dialogo».

Sul fronte italiano, però, l’opposizione al Ceta si fa sentire. Il parlamento ha preso tempo per la ratifica. La Coldiretti contrasta ferocemente e apertamente l’accordo, sostenendo che di fatto sdogana il falso made in Italy. Palazzo Rospigliosi lamenta che l’accordo legittima l’italian sounding fatto attualmente per le produzioni dop. Specie per i formaggi di origine protetta italiani. Come Fontina e Gorgonzola.

«Il Ceta è un primo passo utile, che si può e si deve irrobustire. Ma dopo anni di attesa finalmente tanti prodotti, 41, dop e igp italiani potranno avere piena tutela, essendo vietato alle aziende canadesi l’uso del loro nome. Non è poco. Pensate che fino a ieri il Prosciutto di Parma non poteva presentarsi col suo nome perché era registrato da un’azienda privata. Per Fontina e gorgonzola l’accordo prevede che se sono prodotte in Canada ci sia indicata con chiarezza l’origine che sia evidente anche la parola “Like”, tipo. Significa riconoscere il primato italiano e comunicare al consumatore che quelle sono copie».

Negli Stati Uniti, 12 tra le maggiori associazioni agricole ed agro-alimentari hanno inviato, al Presidente Trump, una lettera ufficiale molto dura contro il riconoscimento delle Indicazioni Geografiche europee negli accordi commerciali attualmente in fase di negoziazione. Lo ha fatto sapere la Fondazione Qualivita, che vede nel Consortium for Cottimo’? Food Nanzes (CCFN) la regia dell’operazione. Le 12 organizzazioni Usa sostengono che le Ig Ue cercano di “confiscare” nomi che in America considerano generici e che da noi corrispondono denominazioni protette. Come,ad esempio, il parmesan.

«È un confronto, anche duro, tra modelli. Noi porteremo sempre avanti quello che lega origine, territorio e qualità e che si esprime nelle indicazioni geografiche. In questo faremo sempre la nostra parte a tutela del saper fare italiano. L’atteggiamento Usa denota che su questo fronte ci temono. E noi dovremo imparare sempre meglio a comunicare ai consumatori questo valore, per contrastare italian sounding e falso cibo».

Strumenti come l’ecommerce, sul genere degli accordi con Alibaba, sono utili per penetrare il mercato cinese o si sono rivelate un pannicello caldo per via delle alte commissioni degli importatori e distributori?

«Alibaba ha 460 milioni di clienti, quasi 8 volte la popolazione italiana, bambini compresi. E evidente, quindi, che è un mercato da presidiare ed è una porta d’accesso alla Cina, dove stiamo cercando di recuperare il tempo perso in passato rispetto ai cugini francesi. Ovvio che si è avviato da poco il percorso: quindi, per avere risultati pieni c’è ancora molto da lavorare. Per questo stiamo lavorando sull’apertura di un Italian pavilion permanente sulla piattaforma, che educhi i consumatori cinesi sulle nostre eccellenze. C’è anche da dire che Alibaba ha voluto fortemente combattere il falso cibo, consentendo ai nostri ispettori di segnalare le produzioni contraffatte. E di rimuoverle in poche ore».

Passiamo alle produzioni: lei ha dichiarato di essere contrario all’utilizzo di glifosate in Italia. Importanti centri europei di ricerca contro il cancro (ed esempio, quello di Lione) si sono detti contrari all’utilizzo perché “cancerogeno”. Le autorità europee per la chimica (Echa) e per la sicurezza alimentare (Efsa) hanno detto che non è così certo, oppure che non è dannoso. A cosa imputa queste enormi differenze di vedute? Conflitti d’interesse di qualche membro?

«Confermo la mia contrarietà. E una scelta coerente col modello agricolo sostenibile che vogliamo promuovere in Italia. Il parere reso dall’Ispra al governo è molto severo sull’impatto ambientale del glifosate nelle zone di utilizzo. Dobbiamo tenerne conto».

Un conflitto d’interessi riguarda probabilmente anche la Germania, che per il momento sul glifosate sta alla finestra: Bayer sta per acquisire Monsanto (anche se pende un giudizio negativo dell’antitrust Ue). E i maggiori ricavi per Monsanto arrivano dalla vendita dell’erbicida più diffuso al mondo: il RoundUp a base di glifosate. Visti gli interessi contrastanti in Europa, si andrà verso una nazionalizzazione delle politiche (e delle moratorie) sul glifosate così come si è accaduto con gli ogm?

«Troppo spesso l’Europa non decide. Sugli ogm abbiamo ottenuto la possibilità di valutare a livello nazionale adottando decisioni più vicine alle nostre esigenze. Credo che una flessibilità sia utile per tutelare la distintività delle varie agricolture. Per noi è vitale».

A tal proposito ritiene gli ogm uno strumento utile per le coltivazioni in aree difficili o considera il transgenico pericoloso per la salute e come sostenuto da Carlin Petrini a Terra Madre per i redditi dei contadini africani, tenuti in ostaggio dai brevetti sulle sementi?

«È un tema enorme quello della proprietà dei semi, e più in generale quello della ricerca agricola. In un mondo che va sempre di più verso pochi soggetti, nei quali sono concentrati brevetti su semi e fitofarmaci, noi abbiamo scelto di puntare sul rilancio della ricerca pubblica in agricoltura sulle principali colture italiane. Superando il vecchio transgenico e puntando su biotecnologie sostenibili come genome editing e cisgenesi».

Passiamo al mercato italiano. A ItaliaOggi, nel corso dell’ultimo Vinitaly di Verona, aveva annunciato la predisposizione di un numero elevato di decreti attuativi del Testo Unico della Vite e del Vino. A che punto siamo con la diramazione e la loro pubblicazione in Gazzetta?

«Sono dieci i decreti già firmati e pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Stiamo ancora andando avanti in un lavoro di confronto con la filiera su alcuni temi sensibili. Sono pronti i decreti anche su consorzi, tracciabilità e controlli che accorpano circa 7 dei provvedimenti previsti dal Testo unico. Si procede a ritmi serrati».

Questa settimana il Governo presenterà la legge di bilancio. Cosa si prevede per l’agricoltura?

«Le nostre priorità sono i giovani e il sostegno alle filiere strategiche. Stiamo lavorando in questa direzione, per completare le scelte fatte in questi anni con un taglio di tasse per 2 miliardi di euro per gli agricoltori attraverso la cancellazione di Imu, Irap e Irpef agricole. E poi pensiamo alla creazione dei distretti del cibo».

Di cosa si tratta?

«Sono un nuovo strumento di progettazione territoriale partecipata per aiutare produttori agricoli, cittadini, associazioni ed enti locali a lavorare insieme sulla valorizzazione del patrimonio agricolo, enogastronomico e ambientale di ogni luogo. Con i Distretti del Cibo si potranno costruire piani di sviluppo pluriennali, per accedere anche a finanziamenti dedicati. E rendere, così, ogni città e ogni territorio un laboratorio originale di food policy».

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