1. E i marò?
Per settimane e per mesi ogni qualvolta scrivevo sui social i risultati concreti dell’azione di Governo, un gruppo di utenti rispondeva puntualmente: Sì, vabbè. E i marò?
Legge elettorale? Sì, vabbè. E i marò? JobsAct? Sì, vabbè. E i marò? Riforma costituzionale, buona scuola, pubblica amministrazione, investimenti in cultura, 80 euro, variante di valico, Expo, Imu e Tasi? Sì, vabbè. E i marò?
In parte, ovviamente, dipende da un atteggiamento critico di chi vede sempre il bicchiere mezzo vuoto, in tutto. Atteggiamento legittimo, sia chiaro. In parte, però, questo ritornello nasceva dalla sensazione di impotenza del Paese per una vicenda nata male – con responsabilità politiche e istituzionali evidenti anche da parte italiana – e proseguita peggio.
Adesso i marò sono in Italia. Sono tornati per un’azione di buon senso, paziente e non reclamizzata. E il buon senso ci deve continuare a guidare. Ecco perché siamo felici che questa manifestazione del 2 giugno sia la prima dopo anni in cui nessun nostro soldato è privato della propria libertà all’estero. Ma non utilizzeremo il 2 giugno per strumentalizzare alcunché.
Massimiliano e Salvatore sono di nuovo in Italia. Hanno il diritto di stare con le loro famiglie. Noi continueremo a lavorare con buon senso e serietà, senza strumentalizzazioni più dannose che inutili.
2. Il G7 e l’Italia stabile grazie alle riforme
Il Giappone ha ospitato il G7 ed è stato un appuntamento di grande interesse su tutti i fronti: dall’innovazione tecnologica alla robotica, dalle sfide ambientali agli obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite contro la povertà, dalle minacce terroristiche globali fino alle dimensioni geopolitiche dell’energia, dall’immigrazione alla necessità di scommettere sulla crescita e non solo sull’austerity. Su questo, ad esempio, è stato interessante notare come la stragrande maggioranza ormai condivida la necessità di insistere su stimoli fiscali e non solo monetari, linea sulla quale l’Italia si è attestata da tempo.
Ma, in generale, è interessante notare come ormai l’Italia abbia smesso di essere un problema a livello internazionale. Il combinato disposto di riforme più stabilità ha prodotto agli occhi dei nostri partner un capovolgimento della visuale molto interessante. Anche per questo insisto – ogni giorno, sempre di più – sull’incredibile valore che avrà il referendum di ottobre, anche per la credibilità del Paese all’estero. Il sito ormai è noto: www.bastaunsi.it e il numero dei comitati cresce. Abbiamo superato le duecentomila firme e ci stiamo preparando al grande appuntamento del 16 giugno, quando in tutta Italia avremo migliaia di tavolini per festeggiare il mancato pagamento dell’Imu e della Tasi prima casa e le prossime misure del Governo: ma i tavolini serviranno anche e soprattutto per coinvolgere i cittadini. Qui il link per dare una mano anche a livello economico, qui l’appello dei 200 professori, qui il mio intervento alla Camera – punto per punto – per rispondere alle accuse del fronte del no. Basta un sì! Vi aspetto: [email protected]
3. L’ottimismo, la fiducia, l’autostima
Tornato dal Giappone mi sono tuffato immediatamente in un giro per l’Italia, un po’ stancante, ma fantastico. A Venezia per la Biennale di Architettura abbiamo firmato il decreto che stanzia 500 milioni per le periferie (qui un bellissimo pensiero di Renzo Piano, teorico – e pratico – del “rammendo”). A Trieste abbiamo siglato il protocollo per spendere i 50 milioni di euro assegnati dal decreto CIPE del primo maggio sul Porto Vecchio: incredibile luogo che può diventare un laboratorio di futuro impressionante, a condizione di rimetterlo a posto e dargli una visione unitaria. A Reggio Calabria abbiamo inaugurato quello che scherzando abbiamo chiamato Ponte SOTTO lo Stretto: il nuovo cavo energetico realizzato da Terna che permetterà agli italiani di risparmiare 600 milioni di euro dalla bolletta. Un capolavoro di ingegneria made in Italy che il mondo ci invidia. Perché in Italia si fanno anche cose come queste.
Ma come spiega oggi Ilvo Diamanti su Repubblica il vero nemico da battere è il pessimismo. Giro come una trottola l’Italia, partecipo a inaugurazioni, cerco di trasmettere energia e entusiasmo perché sono assolutamente certo che il mondo di domani può vedere l’Italia protagonista. Quello che, in fin dei conti ci distingue da quelli che dicono sempre di no o che – più semplicemente – hanno paura, è che noi siamo convinti che questo mondo che corre veloce chieda qualità e bellezza, talento e creatività. Chieda Italia, insomma. Ma i cittadini globali di oggi, e gli italiani più degli altri, hanno paura del futuro. È come se lo considerassero una grande minaccia, non una grande opportunità.
Le trasformazioni della società fanno oggettivamente impressione. Interi settori economici rischiano di essere trasformati. Che succederà con la manifattura 4.0? E cosa produrranno le auto senza guidatore? Come vivere in un mondo dove si campa di più (evviva!), ma di conseguenza la spesa sanitaria deve essere ripensata? Potrei continuare.
Mi accusano di essere un dispensatore di ottimismo. Ma in realtà io vorrei soltanto recuperare la fiducia degli italiani nell’Italia. Siamo un grande popolo, ce l’abbiamo sempre fatta e questo mondo iperconnesso e ultrarapido paradossalmente valorizza al massimo le nostre qualità.
Dobbiamo tornare a credere in noi stessi, però. Gli economisti dicono che è il fattore fiducia, ma io userei una parola diversa: autostima. L’Italia deve tornare a volersi bene, a stimarsi, ad apprezzare ciò che viene fatto. Dobbiamo tornare ad ammirare chi ce la fa, non a invidiare chi ce la fa. Dobbiamo avere consapevolezza che questo Paese non è un Paese tra i tanti, ma ha le potenzialità per essere leader, non follower.
Il mio quotidiano assillo è questo: restituire autostima all’Italia.
Ci sono molte cose che non vanno, certo. Chi le può negare? Ma se ce la mettiamo tutta, le cose possono cambiare e noi lo stiamo dimostrando. Naturalmente si può sempre fare meglio. Si può fare sempre di più. Ma quelli che chiedono di fare meglio, diano una mano e ci sfidino in positivo, anziché sperare nell’autodistruzione del Paese.
Questo è il senso profondo del mio viaggio continuo nel Paese, da Pompei al porto vecchio di Trieste, dalla Etna Valley alle aziende innovative torinesi, dal cavo di Terna a Scilla in Calabria fino ai laboratori nel cuore del Gran Sasso.
Se l’Italia torna a credere in se stessa, non ce n’è per nessuno.
Vi leggo volentieri: [email protected]
Per chi vuole approfondire alcune uscite pubbliche che ho fatto:
- qui una lunga intervista a Avvenire;
- qui una intervista al TG5;
- qui la conferenza stampa della prima serata in Giappone.
Pensierino della sera
Avrei mille altre curiosità da condividere. La gioia dei dati di ingresso nei musei (qui il tweet del ministro Franceschini) e il fatto che continuiamo a scegliere direttori con bandi internazionali per altri dieci prestigiose istituzioni, come abbiamo fatto con Caserta e con le altre (domani, tra l’altro, è l’ultimo giorno per segnalare luoghi culturali da recuperare a [email protected]; alla mezzanotte di ieri erano arrivate oltre 74mila email per valorizzare circa 2.200 posti in giro per l’Italia). La curiosità di un sms che ho ricevuto da Maurizio Landini che ha affittato come Fiom la Leopolda riempiendola di bandiere del sindacato (link): ottima idea, compagno segretario, non ti chiederemo i diritti. Però ricordati che quando si va alla Leopolda, poi, bisogna innovare altrimenti non funziona. E lo stupore per l’impresa straordinaria del grandissimo Vincenzo Nibali che ha vinto un Giro d’Italia con un finale che sembrava impossibile. Mai arrendersi, mai: questa la lezione dello Squalo.
Ma trovo giusto dedicare il pensierino della sera alla vicenda immigrazione.
Chi mi segue sa che quello che penso: si tratta di un fenomeno che durerà anni e che necessita di un’azione in Africa. Da farsi come Unione Europea, come abbiamo proposto. Finché non li aiuteremo per bene a casa loro, continueremo a cercare di tamponare, ma un tampone non è mai la soluzione. Finalmente qualcosa si muove e l’Unione Europea pare intenzionata a scommettere davvero sul Migration Compact proposto dall’Italia. Ma nel frattempo siamo orgogliosi di quelle italiane e quegli italiani che ogni giorno – rischiando la propria – salvano centinaia di vite umane. Come fa il dottor Pietro Bartolo a Lampedusa, la cui storia ho ricordato al tavolo del G7 come esempio. Come fanno donne e uomini della Marina Militare, della Guardia Costiera, delle forze dell’ordine. Quello che un po’ stride, e talvolta mi sembra meschino, è l’atteggiamento di chi grida e urla, in questi casi. Di chi usa sui media, e non solo, parole come: sistema al collasso, emergenza, invasione. Stiamo parlando di numeri che sono più o meno – a seconda delle settimane – gli stessi degli ultimi due anni. Un decimo di quelli che ha preso la Germania lo scorso anno. Sono numeri che nella percezione mediatica sembrano molto più grandi. Ma sono numeri in media con il passato e non superiori a altri paesi. Il punto è che non sono solo numeri. Ma sono bambini che muoiono nelle stive. Mamme che accettano di rischiare la vita e farla rischiare ai propri figli, tale e tanta è la loro disperazione. Non sono solo numeri. Dunque, io dico: aiutiamoli a casa loro davvero, con la cooperazione internazionale e un diverso modello di aiuti allo sviluppo. Nel frattempo salviamo quante più vite umane possibili, sapendo che non c’è nessuna invasione: i numeri sono sempre gli stessi, più o meno. C’è una grande crisi umanitaria nel Mediterraneo e non solo nel Mediterraneo: noi proponiamo di affrontarla con determinazione e visione a medio termine, non inseguendo le paure o i voti. Il nostro modello di gestione dell’emergenza – a differenza di altri Paesi – non ha situazioni di disagio come i campi di Idomeni o di Calais. L’Italia c’è, con i suoi valori e con la sua forza. Aspettando che anche il resto di Europa si renda conto fino in fondo dell’importanza politica e umana di questa sfida.
Un sorriso. Matteo