La parola «riaperture» è la più abusata in questi giorni: riaperture in sicurezza e irreversibili, meglio specificare, considerata la situazione sanitaria ancora precaria e le tensioni conflagrate ieri in Consiglio dei ministri intorno al coprifuoco, col dietrofront poco serio della Lega.
Tuttavia è tempo di mettere al centro del dibattito pubblico, e delle decisioni della politica, anche la parola «ricostruzione». Si tratta ora di cominciare a scrivere, condividere e rendere operativo sui territori un grande Patto per la ricostruzione del Paese. Il modello per noi è quello dell’accordo voluto da Ciampi nel luglio ’93, che spianò la strada al superamento della crisi strutturale del ’92-93.
Uscire dalla crisi, oggi come allora, sarà dura, ma a differenza del passato avremo dalla nostra la possibilità di sfruttare risorse considerevoli, benché molte a debito. Risorse mai così ingenti dal secondo dopoguerra a questa parte. C’è lo spirito giusto per vivere questo passaggio d’epoca superando i particolarismi e rimboccandoci tutti le maniche per l’interesse generale?
Solo una tregua sulla ricostruzione tra le forze politiche che collaborano nel sostegno a Draghi può consentirci di vivere una nuova stagione di concertazione: deve essere condivisione e corresponsabilità. L’orizzonte è quello dello sviluppo sostenibile. L’obiettivo è dare alle imprese e ai lavoratori gli strumenti necessari per competere nel mondo del post pandemia, come sottolineato nell’editoriale di Dario Di Vico sul Corriere di ieri. Il metodo sono le riforme.
Un Patto per la Ricostruzione che deve avere come obiettivo cardine la creazione di lavoro, deve essere il modo per affrontare il blocco dei licenziamenti e le questioni del credito e della capitalizzazione, con la necessità di allungare i tempi delle moratorie già previste, deve concentrarsi su interventi selettivi per le Pini, sulla riforma degli ammortizzatori sociali e, finalmente, gli interventi a favore dell’occupazione giovanile e le politiche attive per il lavoro. Con la medesima ambizione, la ridefinizione condivisa del sistema delle relazioni industriali e la riscrittura del paradigma stesso della democrazia economica, anche attraverso la partecipazione dei lavoratori agli utili e alla governante delle imprese.
Occuparci davvero di territori, imprese, lavoro vuol dire parlare all’Italia. Un’Italia che, dopo tanti timori e sofferenze, nonostante tutte le incertezze, vuole guardare avanti con fiducia e speranza.
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