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La doppia giravolta che ci isola nel mondo

Da ormai molto tempo la politica estera italiana si fonda su tre robusti pilastri: il primo (che può essere considerato di politica interna) è l’Unione Europea, il secondo è l’Alleanza Atlantica (cioè la Nato) e il terzo la convergenza con gli Stati Uniti, come ovvia conseguenza dei due legami precedenti.

 

Vi sono stati certo periodi nei quali sono emerse divergenze di vedute tra diversi membri del governo italiano anche su temi importanti, come la politica medio-orientale fra Andreotti e Spadolini, ma i tre pilastri fondamentali hanno sempre permesso al nostro edificio di resistere senza eccessivi danni ai terremoti della storia.

 

Mantenere questa coerenza era in fondo abbastanza facile perché i presidenti americani si sentivano istintivamente figli dell’Europa o, almeno, uniti ad essa con un legame particolare. Le cose sono un poco cambiate con Obama, che ha progressivamente spostato la priorità della sua politica verso l’Oceano Pacifico ma oggi, con la presidenza Trump, l’Unione Europea è considerata addirittura un concorrente ostile e, in quanto tale, da contrastare e, soprattutto, da dividere.

 

Gli avvenimenti delle ultime settimane hanno reso più visibile la profondità di questa rottura tra Ue e Usa. Trump è intervenuto direttamente nella politica interna britannica sostenendo la candidatura di Boris Johnson per la carica di primo ministro, con la motivazione esplicita che Johnson darebbe un decisivo contributo all’indebolimento dell’Unione Europea. Perseguendo lo stesso obiettivo Trump si è poi esibito in un incredibile attacco al presidente della Banca Centrale Europea: atto davvero inusitato da parte dell’uomo più potente del pianeta.

 

Nello stesso disegno si è inserito il recente viaggio di Salvini a Washington. Il vice presidente del Consiglio italiano non ha incontrato Trump, come alcune indiscrezioni sussurravano, ma è stato accolto con grande risonanza dal vice presidente Mike Pence e dal Segretario di Stato Mike Pompeo. Le dichiarazioni seguite a questi incontri sigillano una totale ed incondizionata adesione di Salvini alla politica americana, soprattutto in quei campi nei quali essa più si discosta dalla linea europea.

 

Basta, a questo proposito, citare il caso iraniano: gli Stati Uniti hanno denunciato gli accordi esistenti mentre Francia e Germania battono la strada opposta, ritenendo che l’Iran abbia sostanzialmente rispettato i trattati sottoscritti. Ho citato in particolare il caso iraniano perché, oltre che a mettere noi italiani in ulteriore contrasto con i nostri alleati europei, esso colpisce in modo specifico i nostri interessi, dato che l’Italia ha legami economici particolarmente intensi e radicati con l’Iran.

 

Il viaggio americano di Salvini ha provocato non solo una rottura nei rapporti con i nostri alleati europei ma anche con la precedente linea di politica estera dello stesso Salvini. Una linea che, in quanto fondata su un profondo e ripetuto rapporto con la Russia, aveva ripetutamente sollevato la diffidenza del governo americano.

 

Tra gli attenti osservatori internazionali nasce naturalmente l’interrogativo se questa giravolta sia stata messa in atto con la benedizione di Putin, interessato anch’egli ad indebolire un’Europa con la quale i rapporti sono sempre peggiorati negli ultimi anni, o se sia invece da considerarsi un tradimento o, almeno, un eccessivo atto di asservimento di fronte al suo grande rivale americano.

 

Una domanda importante e ricorrente nei confronti della quale vi sono oggi opinioni divergenti e, rispetto alla quale, la risposta finale emergerà solo dalle future e ancora imprevedibili reazioni russe. Bisogna infatti essere molto bravi nel giocare il ruolo di “Arlecchino servo di due padroni”.

 

A complicare ulteriormente la situazione si è ovviamente aggiunto il Movimento 5Stelle, che è ancora la componente più numerosa del Parlamento e del governo Italiano. I responsabili dei 5Stelle hanno adottato una linea di politica estera in direzione del tutto opposta, siglando un accordo di adesione alla politica della via della Seta del governo cinese. Il che ha mandato su tutte le furie il presidente americano e ha certamente contribuito a sottolineare l’importanza del viaggio di Salvini a Washington, anche se l’Italia finora ha ottenuto ben pochi vantaggi concreti nei suoi rapporti con la Cina, dei quali si è invece molto giovata la Francia.

 

Mettendo insieme tutte queste considerazioni si può ragionevolmente concludere che l’azione americana di contenimento dell’Unione Europea si fonda da un lato sulla Brexit e, dall’altro, sulle contraddizioni italiane, che fanno del nostro paese il ventre molle dell’Europa.

 

Resta tuttavia evidente che un paese con strategie così diverse in politica estera, per bene che gli vada, non potrà avere nessun ruolo, non solo tra i protagonisti della politica mondiale ma nemmeno fra le riserve. Queste sono le conclusioni che si traggono oggi, tanto a Bruxelles quanto a Washington, a Mosca e a Pechino. Purtroppo non a Roma.

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