“I dati dell’Istat evidenziano una persistente e preoccupante disparita’ salariale tra uomini e donne nel nostro Paese. Nel 2022, le lavoratrici dipendenti hanno percepito una retribuzione lorda annua media di 33.807 euro, a fronte dei 39.982 euro dei colleghi uomini, registrando un divario di oltre 6.000 euro”. Lo sottolinea Roberta Mori, portavoce della conferenza delle donne democratiche. “Anche la retribuzione oraria media – rileva – mostra un differenziale significativo: 15,9 euro per le donne contro 16,8 euro per gli uomini, con un gender pay gap del 5,6%, ma il divario è molto piu’ significativo fra la popolazione laureata (16,6 %) e fra i dirigenti, in cui la media della differenza è del 30,8%. Un dato che non puo’ prescindere da quelli sul percorso universitario delle donne, che è di segno opposto: le donne sono la maggioranza sul totale dei laureati, 140 per ogni 100 uomini”. Mori osserva che “lo svantaggio economico ostacola l’autonomia delle donne nel mercato del lavoro e rappresenta una palese violazione del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione”.
“Pensare che il mercato possa correggere spontaneamente le disuguaglianze è un’illusione priva di fondamento, soprattutto di fronte all’evidenza di un pregiudizio che porta a pagare meno le donne anche a parita’ di competenze. È indispensabile – sollecita – un intervento da parte delle istituzioni. Il Governo persegua con determinazione l’Obiettivo 5 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che mira a raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare le donne e le ragazze. È fondamentale adottare politiche attive e misure concrete per colmare il divario salariale e promuovere una reale parità nel mondo del lavoro, applicando fino in fondo la legge a prima firma Gribaudo approvata all’unanimita’ in Parlamento che prevede di trasformare le condizioni e i tempi di lavoro che sfavoriscono di fatto le donne in ragione del condizionamento di ruolo sociale e di cura. Le donne italiane attendono risposte chiare e azioni efficaci. Non possiamo più tollerare discriminazioni economiche e professionali. È tempo – conclude – che la classe dirigente renda conto del proprio operato e dimostri un impegno concreto nel garantire pari opportunità e diritti”.