«Fino all’ultimo dobbiamo sperare che la scissione sia solo un brutto sogno», premette Luigi Zanda, senatore e tesoriere del Pd. «Però», aggiunge subito dopo, «non si può neanche continuare a parlarne su giornali e tv senza chiarirne il significato, senza chiudere con una decisione, in un senso o nell’altro».
Perché ha tanta fretta, senatore?
«Questa minaccia incombente condanna il governo, e di conseguenza il Paese, a restare sospesi nel limbo: in una situazione di incertezza che fa male a entrambi. Col rischio concreto che la destra autoritaria ed eversiva di Salvini rialzi la testa. Ecco perché adesso spero in un sussulto di responsabilità da parte di Renzi: rompere il Pd significa indebolire sia il Conte Due sia la maggioranza, costretta a tenere conto di un altro interlocutore e di nuovi equilibri. Si inserirebbe un elemento di instabilità di cui in questa fase non si sente il bisogno».
Veramente Renzi sostiene il contrario: a sentire i suoi, una terza gamba in grado di attrarre i centristi allargherebbe la maggioranza e rafforzerebbe il governo.
«Lui è sempre stato convinto che fosse necessario attirare i voti della destra. Lo pensava e lo diceva, sebbene in modo diverso, anche da segretario del Pd. Io naturalmente gli faccio i miei auguri, ma non credo proprio che oggi chi si considera berlusconiano, o sostiene Salvini, o fa il tifo per la Meloni possa facilmente trasformarsi in renziano».
L’addio è inevitabile o si può ancora scongiurare, magari offrendo alla Boschi la presidenza pd e ai renziani posti in segreteria?
«Sarebbe uno scambio miserabile. La verità è che le scissioni non portano mai fortuna. Né a chi le subisce, né soprattutto a chi le vuole, le cerca e le realizza. Non ho mai visto una sola formazione politica nata da uno scisma avere successo nelle urne. Gli elettori pretendono stabilità e affidabilità. E non considerano certamente affidabile chi per anni ha militato in un grande partito e poi lo abbandona, all’apparenza senza una valida motivazione ideale, per farne uno più piccolo, identitario».
È una ripicca, quindi. E allora perché i renziani dicono che sarà una separazione consensuale?
«Dire che sarà una separazione consensuale non ha senso. Una scissione è il fatto più traumatico che si possa immaginare nella vita di un partito ed è singolare che chi medita di andarsene possa immaginare di farlo con l’assenso di chi resta».
Goffredo Bettini sostiene però che si può fare: lasciarsi non sarebbe uno scandalo.
«Non è uno scandalo ma un fatto politico molto grave sì. Non credo che nel Pd siano in tanti ad augurarselo. Anche perché ancora nessuno ha capito davvero perché Renzi dovrebbe rompere: lui è già nel governo, ha contribuito a crearlo, ha indicato ministri e sottosegretari. Non c’è nessuna motivazione ideale, una scissione rischia di risultare incomprensibile».
C’è chi dice che il nuovo gruppo potrebbe essere costituito già domani alla Camera, mentre a Palazzo Madama Renzi e una manciata di senatori andrebbero nel Misto. Il capogruppo del Pd, Andrea Marcucci, resterebbe invece al suo posto per consentire al senatore fiorentino di continuare a controllare e condizionare i colleghi dem. Voi che pensate di fare? Sostituirete Marcucci?
«Se la scissione avvenisse con le modalità che lei sta descrivendo, e io spero di no, diventerebbe chiaro che siamo davanti a una manovra ostile e a un capolavoro di ipocrisia».
E quindi con Marcucci che farete?
«Lo deciderà il gruppo del Pd. Certo, il problema si porrebbe».
Lei è considerato da Renzi uno degli avversari interni più ostinati. Perché tanta durezza, senatore?
«Matteo è stato per tre anni il padrone assoluto del Pd e io, anche a quel tempo, ho cercato di mantenere libertà di pensiero».