«I tempi della burocrazia? Gli stessi dell’era pre internet. Il problema è tutto qui». Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e vicepresidente Anci, è uno che sul web va pure troppo veloce e che spiega così la burocrazia: è il male del Paese perché è primitiva.
Ricci, facciamo un esempio pratico.
«Per un parere ci vogliono 30, 60 o 90 giorni. Questi tempi avevano una logica prima della digitalizzazione. Sono tempi morti, poi è normale che un investitore possa scappare».
Basta l’attesa di un parere per far saltare un investimento?
«Il rapporto tra la decisione e il mercato non è secondario: rischiamo di approvare progetti con procedure talmente lunghe che nel frattempo le esigenze di mercato sono cambiate. Ci sono tanti casi così».
E gli altri danni li fa la giustizia, a proposito di lentezza.
«Le due cose si legano: quando c’è un procedimento burocratico lento e farraginoso, aumenta la conflittualità».
Il Comune di Pesaro ha fatto parlare di sé perché per comprare un mazzo di fiori da 22 euro fece cinque delibere e passò da tre enti. Poi Cantone disse che non era necessario. Non è che alla fine si diventa più realisti del re?
«Beh, una tendenza a evitare rischi c’è, ma è senza dubbio la burocrazia che ti schiaccia. E poi non è possibile che ogni cosa la debba vedere Cantone».
E cosa dovrebbe vedere?
«L’anticorruzione deve intervenire sulle grandi cose. Altrimenti rischia di diventare un elemento che invece di favorire la trasparenza, finisce solo per rallentare. Lo riassumo in un concetto: la democrazia funziona quando la decisione avviene nel tempo giusto».
E il codice degli appalti?
«Allora, io non condivido niente di quello che ha fatto questo governo. Una delle pochissime cose che approvo è aver aumentato a 150 mila euro la soglia per i piccoli lavori, evitando in questi casi le procedure per i grandi appalti».