Matteo Renzi conduce un programma televisivo che ancor prima di essere messo in onda è stato giudicato (male) perché a condurlo è proprio lui, l’ex premier clamorosamente sconfitto alle ultime elezioni. I suoi detrattori sostengono che faccia il verso a Piero Angela, ma ‘Firenze’ secondo me (sul Nove) è più di un semplice documentario sulla sua città: è il racconto di qualcosa di indiscutibilmente bello. Ed è pure un successo di audience poiché ha raggiunto il doppio della media della rete ed è andato in crescendo dopo la prima puntata. Eppure il problema del Renzi politico incombe fin dalla prima inquadratura. Perché è difficile giudicare il Renzi televisivo, senza preconcetti.
Ora tocca al Renzi “artista”?
«Parola fuori luogo. Mi sono divertito come un matto e sono entusiasta del fatto di aver realizzato qualcosa che mostrerò ai miei figli con molto più orgoglio di certe foto con i capi di Stato. E sono grato al manager Lucio Presta per aver accettato questa follia».
Perché la chiama follia?
«Ho fatto il presidente del Consiglio e il segretario del partito politico che ha avuto il miglior risultato degli ultimi 60 anni. Ho certamente avuto un ruolo e forse lo riavrò, vedremo. Quando hai un ruolo tutti ti stanno intorno e ti considerano speciale, mentre tu sai di esser sempre il solito. Lo sai quando hai il 40 per cento e anche quando perdi il referendum. A me non è cambiato nulla dal punto di vista personale, per una sorta di scorza molto dura che ho: mi puoi dire una cosa falsa e non mi ferisci, mi puoi fare un complimento che so non esser vero e non mi esalto. E conosco le regole del gioco. Avvicinarsi a uno che ha appena perso richiede coraggio, ecco perché la considero una follia».
Ha avuto critiche pesanti.
«Chi ha avuto da ridire sul programma lo ha fatto non sul merito del racconto, ma sugli ascolti, peraltro senza considerare il canale su cui va in onda. Invece i complimenti più belli me li hanno fatti al bar proprio i fiorentini, quando mi dicevano “… ‘esta ‘un la sapevo”».
Si è divertito nel farlo?
«Questo lavoro su Firenze resterà. Chi è arrabbiato con me e mi contesta, quando la rivedrà fra un anno, cinque, dieci anni, si renderà conto che c’è qualcosa che comunque rimane».
Resta anche la politica, suvvia!
«Vivo le critiche con grande tranquillità, forse eccessiva: chi mi insulta non mi fa male. Non ho rancori, magari ironizzo, ci rido sopra. Lo vede quello? Nel mio ufficio in bella mostra tengo il modellino dell’aereo di Stato: sono state dette vergognose bugie, fake news spaziali, ma mi son portato qui il modellino di un aereo che non ho mai preso. E sono forse l’unico a non averlo mai preso».
A proposito di critiche, mi pare che anche lei ne faccia…
«Sto utilizzando i social in modo molto più forte, è vero: dopo che per mesi sono stato massacrato, ora ho iniziato a dire le cose che penso Di Battista ha detto che Obama è un golpista? Ho replicato che si deve far vedere da uno bravo. Ma molto bravo».
Pure i suoi avversari usano i social contro di lei…
«Salvini nel giro di 12 ore è uscito tre volte su Firenze secondo me. Prima ha detto che non mi avrebbe guardato manco fosse l’ultimo programma al mondo, poi “non voglio finire come quelli che fanno i documentari sulla loro città”, infine ha detto che ho fatto meno ascolti della Signora in giallo. Nel frattempo, nello stesso giorno in cui io parlavo della Madonna del Cardellino, lui è andato ad abbracciare un ultrà con precedenti per droga e per aver sfasciato un occhio a un tifoso dell’Inter davanti a dei bambini piccoli. Ognuno faccia quello che crede: lui si tenga l’ultrà, io mi tengo la Madonna del Cardellino».
Che cosa farà dopo la tv?
«Non mollo di un centimetro. Se mollassi la darei vinta a chi vede la politica nel modo opposto al mio. Non lascio il futuro a quelli che contestano i vaccini e fanno i condoni, a quelli che dicono che la cultura non è importante, a quelli che fanno i sottosegretari alla cultura e si vantano di non aver letto un libro».
L’Italia ha votato, ha scelto: se ne faccia una ragione.
«Sono orgoglioso di aver fatto il premier per più di mille giorni. Nell’ultimo secolo un governo durato per più di mille giorni è stato guidato soltanto da Mussolini, Craxi e Berlusconi. Nemmeno da Andreotti, Moro o De Gasperi».
Che cosa ha sbagliato?
«L’elenco degli errori di chi sta tanto tempo al governo non si fa in un minuto. Penso di aver sbagliato a sottovalutare la vergognosa mole di fake news, fango e bugie che ci hanno buttato addosso. Era qualcosa da combattere in modo professionale. Ho avuto l’arroganza di pensare che la verità di ciò che io ero e che noi eravamo si imponesse rispetto alle bugie e alle fake news. Detto questo sono molto soddisfatto e molto tranquillo».
Come fa, scusi?
«Gli italiani hanno scelto di andare con questi e io spero che vadano bene. Perché sono italiano e spero che i risultati li portino a casa».
Bugia… Non è vero che ci crede
«Ho detto che lo spero per l’Italia. Io penso che loro siano dei cialtroni».
Cialtroneria per Renzi significa?
«La volontà di non risolvere i problemi ma di utilizzare i problemi per far crescere il consenso personale. Esempio: non mi preoccupo di far sì che una cosa accada, mi preoccupo che su Facebook crescano i miei follower».
I suoi avversari hanno vinto con il web, ne conoscono i meccanismi: mica si stupirà.
«Dico sempre che il tempo è galantuomo: in casa mi prendono in giro perché lo ripeto spesso e miei ragazzi mi rispondono che “la pizza si fredda”. La vita politica è un giro di giostra. Se ci fa caso, nessuno è mai stato confermato alla guida del governo dopo le elezioni, dal 1994 a oggi. La vita è così, bisogna accettarla».
Però a perdere c’è rimasto molto male, lo ammetta.
«Ci sono rimasto molto male per la sconfitta al referendum, mentre quella alle politiche era scritta. Pensavo che il voto al referendum fosse sul merito, sul Cnel, sulla riforma, invece si è votato su di me».
La sensazione che ha provato la sera dopo?
«Gli ultimi giorni sapevamo che andava a finir male e dalla mattina gli exit poli ci davano sotto di 15 punti, pertanto ero psicologicamente preparato. Il Senato mi aveva dato la fiducia, mi si chiedeva di rimanere, ma io volevo andarmene del tutto, davvero. Lì ho fatto la scelta di rimanere non più al governo ma di restare in campo. Però la sensazione che ho provato andando a letto quella sera era per l’occasione persa dall’Italia. In fondo, alla fine al governo ci posso anche tornare…».
Con un nuovo partito forse…
«Non è una questione all’ordine del giorno. Roba da addetti ai lavori, fantapolitica».
I suoi figli come hanno preso la sua débácle?
«D’incanto. Mia moglie Agnese è stata bravissima, negli anni di Palazzo Chigi, a tenere al riparo la famiglia».
Non la si vedeva quasi.
«Le parti da first lady le ha fatte tutte. E io non uscivo mai la sera, non è che andavo nei salotti senza di lei. Quando tornavo a Pontassieve stavo chiuso in casa. E questo atteggiamento tenuto da Agnese, per me strepitoso, molto positivo, ha permesso alla famiglia di non avere né gli effetti da ubriacatura di Palazzo Chigi né il contraccolpo dell’uscita. Abbiamo sempre vissuto con grande tranquillità, la famiglia ha sempre fatto quello che doveva fare. Certo, poi qualcuno dei miei figli pagherebbe perché io smettessi domattina di far politica: non ne può più di vedere i troll sui social che mi offendono».
Che padre è stato fino a oggi?
«Non ne parlerei al passato. I ragazzi hanno 17, 15 e 12 anni. Diciamo che comunque la roccia della famiglia è la mamma. Considero una delle cose più positive della sconfitta referendaria l’essere tornato a casa e avere avuto una bella occasione per coltivare di più il rapporto con i figli».
Come l’ha presa donna Agnese?
«Alle domande su Agnese, per contratto, risponde Agnese».
Vostro figlio Francesco adesso fa il calciatore, nella Primavera dell’Udinese…
«Vedremo che cosa farà, che risultati porterà. È giusto che se la giochi. Uno degli effetti positivi della sconfitta è che sono un po’ meno in vista e lui a suon di gol si è costruito un’opportunità. Ma da qui a fare il calciatore c’è ancora un oceano. Se ce la farà, evviva, saremo felici per lui. Se non ce la farà, amen. I ragazzi che dalla Primavera riescono a fare il salto sono pochissimi. Quando ci sentiamo in chat, la mia domanda è: “Come andata l’interrogazione di greco?”. Vorrei chiedergli con che modulo gioca il mister, ma non lo faccio».
Perché?
«Perché è fondamentale che lui si preoccupi soprattutto di studiare. Così come deve fare Emanuele, il secondo, che è un chitarrista nato. E idem la terza, Ester, la politica del gruppo».
Segue le sue orme?
«Sa tutto di politica da quando ha sette anni. Ricordo che avevo fatto le primarie al Comune di Firenze contro Pistelli, poi le primarie contro Bersani e avevo perso, poi l’anno dopo le primarie contro Cuperlo, e avevo vinto, poi ero arrivato a palazzo Chigi. Lei aveva otto anni e mi disse: “Babbo, ma quest’anno contro chi si fanno le primarie?”».
Negli occhi di sua figlia quando la guarda che cosa vede?
«Un padre non parla mai della figlia femmina. I miei ragazzi devono esser lasciati liberi di essere non i figli di Matteo Renzi, ma di essere tre ragazzi tranquilli».
Questo suona tanto di dogma Agnesiano.
«Non so se è un dogma ma comunque è un principio condiviso e per il momento ha funzionato. Di Ester che cosa posso dirle? Che parla perfettamente inglese. Quando mi sente parlare inglese mi dice: “Sai babbo, io parlo inglese, non posso fare le figuracce che fai tu con quel shiss”. Ogni tanto io e lei andiamo a fare shopping insieme: mi mostra le minigonne e io dico: no! Arrivo fino al jeans strappato, ma la gonna corta il babbo non gliela compra».
Tornando alla politica, davvero non ha nulla da rimproverarsi?
«Mi sono preso dei rischi. Quando mi dicono che avrei dovuto essere più prudente, che se lo fossi stato sarei ancora a Palazzo Chigi, mi viene in mente una frase del grande pilota automobilistico Mario Andretti: “Quando è tutto sotto controllo significa che stai andando troppo piano”. Io sono molto fiero, felice e contento delle cose che ho fatto, anche degli errori e dei limiti».
Firenze nella sua vita da premier: qualche retroscena?
«Nel primo anno di presidenza del Consiglio ebbi molte discussioni con Angela Merkel. La invitai a casa mia e venne Firenze. Alla fine, andando via, mi disse di aver capito più di me stando a Firenze due giorni, che in un anno al Consiglio europeo. Ed è quello che succede con il mio programma in tv».
La sua città è la sua anima.
«Firenze è tutto quello che dovevo imparare sulla vita, non solo sulla politica. Tutto quello che sono diventato lo devo a Firenze, quindi chissenefrega delle polemiche!».
Si è preparato per il programma?
«Ho studiato molto».
Con Agnese che la imbeccava.
«Agnese era l’icona di tutta la troupe, perché mi incitava a stringere, ad andare al punto. Certo non avevo il gobbo».
Agnese è stata sempre determinante nella sua vita.
«Sì, sia nella politica che nella vita della famiglia».
Come sta Renzi?
«Se promette di non fare battute le dico che sono molto sereno».
Ancora con questa serenità? Cara le è costata.
«Lo dissi perché in quel momento ero convinto. Ora non posso più dirlo».
Ora dice “sto tranquillo”!
«Agli altri ora dico “relax”, ma la verità è che non sono semplicemente sereno o tranquillo: io sono felice. Dal punto di vista personale è un periodo splendido. Purtroppo ho l’impressione che dal punto di vista politico le cose non vadano nello stesso modo. Ma mi dipingono come un rancoroso, mentre io sto realizzando i sogni di quando ero piccolino. Raccontare Firenze. E la sua bellezza. Ho solo paura che per l’Italia le cose si stiano mettendo peggio ma spero di sbagliarmi».