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Padoan: “Il rinvio delle scelte politiche fa sprecare tempo e risorse”

«L’errore fondamentale è stato fatto all’inizio, quando il governo ha deciso di muoversi in direzione opposta alle regole europee accompagnando questa scelta con dichiarazioni spesso sopra le righe. A questo punto tornare indietro è molto, molto difficile». Da ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan ha sviluppato un ricco curriculum di “trattative” con le Autorità Ue. E ora vede pochi margini.
 

L’Europa però non è un monolite, e nella commissione ci sono posizioni sia dialoganti sia intransigenti. Questo non può aiutare?

 
«Ormai la commissione ha proposto l’avvio della procedura e tutti i Paesi si sono detti d’accordo, per cui il quadro si è complicato. Nella mia esperienza ho visto che decisiva per il buon esito dei confronti è l’accumulazione di fiducia reciproca, un bene facile da distruggere ma poi difficile da ricostruire. Noi spiegavamo che le regole non andavano bene, ma che le avremmo rispettate proponendo nel frattempo di cambiarle. II governo ha fatto una scelta diversa, con il risultato che in questi mesi si sono persi tempo e risorse preziose».
 

La frenata congiunturale, però, era già in atto, e dal governo in più di un’occasione si è detto tra la mancata crescita e le clausole Iva da bloccare il deficit di partenza è già vicino al 2%, per cui la deviazione è moderata. In queste condizioni si poteva davvero effettuare la correzione chiesta dalla Ue?

 
«Questa obiezione non fa i conti con il fatto banale che l’aggiustamento chiesto è strutturale, quindi al netto degli effetti del ciclo economico. Ma proprio la natura strutturale dell’aggiustamento lo rende incompatibile con la pretesa dei due vicepremier di non toccare di fatto nulla nell’impianto di riforma delle pensioni e reddito di cittadinanza. L’idea di rinviarne l’applicazione di qualche mese, anzi, rischia di rendere ancora più ingestibili i conti sul 2020 e 2021. Senza sciogliere questo nodo politico è impossibile fare passi avanti».
 

Allora che cosa dovrebbe fare il governo? Rinunciare alle due bandiere di reddito e quota 100 sembra politicamente impossibile.

 
«Nella politica economica non ci sono rinunce, ma ci sono le scelte, che poi possono essere giuste o sbagliate. Se queste sono le vere priorità del governo, devono assumersi la responsabilità di guardare il bilancio e trovare altre voci di spesa da ridurre. Perché l’idea che si possa avere tutto senza dover fare delle scelte è lontana dalla realtà. Del resto lo stesso governo ha mostrato di saperlo sul piano fiscale, abolendo Iri e Ace per introdurre il taglio Ires sugli investimenti, peraltro aumentando la pressione fiscale».
 

Al di là delle regole contabili, però, il rallentamento dell’economia rafforza l’esigenza di una manovra anticiclica.

 
«Ma prima di tutto bisogna interrogarsi sulle ragioni del rallentamento. C’è una componente legata alla congiuntura internazionale, certo, su cui possiamo fare ben poco. Ma la ragione principale della crescita negativa registrata nel terzo trimestre è la caduta degli investimenti, che si sono fermati per una doppia ragione: la stretta creditizia prodotta dall’aumento dello spread e la caduta della fiducia. E questi sono fattori decisamente più endogeni, ce li siamo creati da soli».

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