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Orlando: “Non si metta a rischio il governo, la posta è alta”

«Se si mette in fibrillazione costante il governo si mette in conto di esporre il paese a un’involuzione del suo carattere democratico. Il governo ha senso se ha l’obiettivo di battere i sovranisti e i populisti». Parla il vicesegretario Pd Orlando: «Al Pd ora serve una rifondazione, un congresso su piattaforme politiche, non su nomi».
 

Andrea Orlando, sulla finanziaria è partito il tira e molla al governo. Il suo paragone degli ultimatum di Renzi a quelli di Salvini è diventato il lancio pubblicitario della Leopolda?

 
«Spero ne abbiano di più efficaci. La Leopolda è stato uno stimolo anche per chi, come me, non l’ha frequentata. Non ho paragonato Renzi a Salvini e chi ha finto di non capirlo non è in buonafede. Abbiamo chiesto discontinuità a questo governo, non solo nel merito ma anche al metodo: non possiamo fare quattro campagne elettorali parallele da qui al voto. Non si cambia l’Italia a colpi di ultimatum. A prescindere dai contenuti e da dove lo lanci. Gli ultimatum non si fanno e basta, se no si sfascia tutto».
 

C’è aria da ’98, o da 2008, le volte in cui Prodi cadde dall’interno della maggioranza?

 
«Sento e vedo toni che mi preoccupano. La posta è più alta che nel ’98 e nel 2008. Qui in gioco non c’è un governo, c’è la tenuta della democrazia liberale in Italia. Se si mette in fibrillazione costante il governo si mette in conto di esporre il paese a un’involuzione del suo carattere democratico. Abbiamo mandato a casa una forza che intratteneva rapporti con una potenza straniera perché guardava a quel modello sulla base di uno scontento che nasceva dalle profonde diseguaglianze sociali. Noi disinneschiamo il rischio sovranista e populista solo se siamo in grado in pochissimi mesi di dare un segnale forte di lotta alle diseguaglianze sociali. Per noi questa esperienza di governo ha senso se mette al centro l’obiettivo di battere i sovranisti e i populisti. E li battiamo solo se parliamo a tutti quelli che li hanno votati».
 

Restano le differenze di merito. Italia viva chiede di rimandare il taglio del cuneo fiscale.

 
«Non capisco l’ostilità dei nostri alleati a questa misura. Semmai ci dobbiamo rimproverare di non aver affrontato prima questo problema dopo la sacrosanta misura degli 80 euro. In Italia c’è un milione di lavoratori sotto la soglia di povertà, con un terzo della busta paga che finisce in tasse. Questa misura va fatta, anzi rafforzata. Cosa deve fare la sinistra con urgenza se non dare sollievo alle persone con non arrivano a fine mese?

 
«Lo dico anche agli amici che sono al governo: meno timidezza».
 

Eravate partiti con l’idea di alzare le tasse?

 
«La pressione fiscale non va alzata, è già alta. Semmai rimodulata. Ci sono persone che pagano troppo e vanno aiutate. Ripeto: ci sono lavoratori che non possono permettersi un affitto. Se ne parla troppo poco. Quella per la casa è una battaglia che va fatta diventare prioritaria».
 

Prima parlava di populismo. State approvando il taglio dei parlamentari, una riforma dal segno populista. E sulla giustizia il destino del Pd sembra lo stesso: accettare riforme ispirate al populismo giudiziario. Come lo stop alla prescrizione

 
«Sulle questioni istituzionali un’intesa si è raggiunta e non si limita al taglio dei parlamentari. Sulla giustizia non faccia fare a me quello che contesto ad altri, cioè dettare condizioni a mezzo stampa. C’è un tavolo aperto, le posizioni sono note e diverse, lavoriamo per avvicinarle. Noi dobbiamo chiamare tutte le forze, anche liberali, che avvertono il rischio della frana della democrazia liberale. Allargare la maggioranza non è trasformismo né un modo solo per difendersi dal filibustering quotidiano ma una chiamata a quelli che credono che prima di tutto c’è da difendere la democrazia».
 

Quello che sta facendo Renzi?

 
«Allargare le basi della maggiorana è utile chiunque lo faccia. Ma non era necessario dividere il Pd per farlo».
 

Alla festa di Dems (la sua corrente, ndr) a Rimini avete lanciato l’idea di una rifondazione del Pd. A trent’anni dalla Bolognina, che svolta volete fare?

 
«La vicenda della Bolognina riguarda solo alcuni di noi. Oggi dobbiamo andare oltre ad alcuni dei presupposti del Pd. Lo scenario è completamente diverso da quello dell’ultimo congresso. Si sono determinate le condizioni per un’alleanza con una forza che ha tratti populisti, alcuni anche inquietanti ma nella quale convivono corde che ci sono più vicine. Il M5S è in buona parte la radiografia dei nostri limiti. Dobbiamo ‘civilizzare’ i nostri interlocutori, riportarli in un alveo di democrazia compiuta, come è già successo con il loro sì alla presidente Van der Leyen. Ma anche noi dobbiamo ‘civilizzarci’: dobbiamo riassumere una responsabilità nei confronti di quei pezzi di società che si sono sentiti abbandonati da noi. E dall’alleanza di governo nasce un’occasione».
 

In concreto? Rilanciate il Pd di Veltroni, o un partito più ‘di sinistra’, o più vicino alle socialdemocrazie europee?

 
«Il Pd così com’è oggi non va, non ha gli strumenti necessari a riavvicinare il popolo. Questi giorni di nuovi tesseramenti sono un primo passo ma non basta. Serve un momento rifondativo. Il Pd è nato in un sistema bipolare, maggioritario, e con una lettura troppo ottimista nei confronti della globalizzazione. Immagino un percorso nel quale gli organismi nazionali siano eletti sulla base di piattaforme politiche. Che ci si costringa a parlare di contenuti e non solo di nomi come in questi dodici anni. Un percorso costituente, in grado di raccogliere le energie che emergono dalla società: ci si sta riavvicinando il mondo dell’associazionismo, riparliamo con il sindacato, ci sono culture importanti e nobili – non abbiamo mai affrontato fino in fondo la questione socialista -, e un cattolicesimo democratico che non sempre abbiamo rappresentato».
 

Non ho capito: chiedete un congresso, con nuove primarie?

 
«Dobbiamo andare a un coinvolgimento più frequente dei nostri iscritti a un coinvolgimento di merito. Goffredo Bettini ha già immaginato dei percorsi, ma una cosa è chiara: ci si sente parte di una comunità se ci si sente parte del processo decisionale di quella comunità. Anche a partire dai singoli temi. Nel nostro partito rischiano di starci solo i samurai, quelli dell’abnegazione, o chi ha ambizioni. Stenta a trovare spazio adeguato chi semplicemente vuol dare un contributo sulla base delle competenze o del l’elaborazione».

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