Orlando, sembra che voi Dem non abbiate chiara la drammaticità della condizione del centrosinistra.
«Io invece ce l`ho chiara dall`indomani delle elezioni del 4 marzo e dal referendum costituzionale. Già quella sconfitta ci segnalava che avevamo perso definitivamente il popolo. Questa tornata dei ballottaggi aggiunge fatti nuovi. Quando il ‘no’ al referendum ha vinto nelle periferie con il 90%, non puoi pensare né che sia tutta colpa di Renzi, né che fossero tutti fan del bicameralismo. C`era una rottura che si è continuato a rimuovere».
Chi può portare il Pd fuori dalle secche, e come?
«Nessuno lo può fare da solo. Non è una crisi di leadership, ma della funzione e del ruolo del Pd. E quindi c`è il problema di ridefinirsi e di riposizionarsi».
Zingaretti è il suo candidato segretario?
«Nicola è la candidatura più forte al momento, ma vorrei capire su quale base politica, perché ci vuole un cambiamento radicale. Abbiamo pensato che la leadership fosse in grado di scogliere tutti i nodi politici, invece non è così».
Perché giudica Zingaretti il candidato segretario dem più forte?
«Per esperienza e profilo».
Chiedere scusa agli elettori, come lei ha fatto, forse non basta per riconquistarli. Qual è il passo successivo? Tutti i dirigenti del Pd si dimettono?
«No, ma è un passo per archiviare la spocchia di questi mesi. Le ricordo che alle primarie avevo proposte diverse da quelle che hanno vinto: è per questo, credo, che non ho alcun incarico nel partito da cui dimettermi. Ma il punto non è la richiesta di dimissioni, bensì assumersi le responsabilità. E poi bisogna cominciare a chiamare altre energie, affrontare questo passaggio soprattutto sul terreno delle idee. Prima del problema organizzativo che pure c`è, esiste una questione di lettura del mondo».
È d`accordo con Prodi? Liquidare il Pd e fare una nuova formazione si può?
«Questa ansia di creare altri contenitori è la spia di una difficoltà di trovare altri contenuti. Non è escluso che questo possa essere l`esito, ovvero ridiscutere il Pd, ma prima ci vuole una costituente».
ciao
Congresso in due tempi, farlo a novembre o a marzo 2019: l`impressione è che pensiate di spegnere l`incendia con un secchio d`acqua.
«Dobbiamo distinguere la competizione per la leadership e i dibattito sulle idee, perciò parlo ci, congresso in due fasi. Prima rispondiamo alla domanda chi siamo e dove vogliamo andare, quali pezzi di società vogliamo rappresentare. La seconda fase riguarda chi guida questo processo».
La ricetta Calenda di un fronte repubblicano non le piace. L`ha definita “nuova Scelta civica”. Ma quale è la sua proposta?
«Andare a parlare con quelli che stanno male, non solo con quelli che stanno bene. Questo implica un cambio di vocabolario e di priorità: fare un tagliando al Jobs act, pensare a una revisione della Fornero, affrontare il problema della casa, della percezione d`insicurezza, della precarietà dei giovani. Dobbiamo andare all`attacco, evitando che Salvini utilizzi ballon d`essai e provocazioni per distrarre dalle questioni economiche e sociali».
Aveva previsto la sconfitta nelle roccaforti rosse?
«Non in queste dimensioni. Il punto è che nei ballottaggi si sono saldati destra e M5S contro di noi. Questa tornata ci dice che si possono rompere rapporti che sembravano eterni con pezzi di elettorato».
Ma il peccato originale è non avere impedito l`alleanza grillo-leghista per il governo?
«Continuo a pensare che sarebbe stato giusto costruire un confronto con i M5S. Ci si poteva inserire nelle loro contraddizioni».
Perché a lei non piace Renzi? E in definitiva: si può dire oggi
che il Pd stava meglio prima?
«Niente di personale e rispetto per la sua azione di governo, ma abbiamo visioni politiche diverse. È stato un leader forte, ma la sua forza ha impedito di vedere i nodi non sciolti. É stato una specie di doping su un corpo già malato. Il Pd ha eliminato i sintomi per un breve periodo, Ma non le cause che si sono ri manifestate. In modo più violento».