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Nardella: “Non c’è solidarietà senza legalità”

Sindaco Dario Nardella: a Firenze ha organizzato una manifestazione contro il razzismo assieme al governatore “scissionista” Enrico Rossi. Poi ha inviato le ruspe per demolire le baracche al campo rom del Poderaccio. E improvvisamente diventato di destra o è realpolitik dopo il crollo del Pd? «Legalità e rispetto della dignità umana non sono in contraddizione. La sicurezza non è né di destra né di sinistra, ma un diritto fondamentale. Anzi, se vogliamo dirla tutta: il “buonismo” dei salotti di una certa sinistra ha lasciato il campo al “cattivismo” degli estremisti. Nel mezzo c’è un’autostrada che il Pd deve imboccare senza remore: non c’è solidarietà senza legalità».

 

Ha stuzzicato pure il ministro Salvini, dicendo che «lui chiacchiera, mentre noi le cose le facciamo davvero»….

 
«Salvini è uno scaltro comunicatore, ma non si garantisce la sicurezza con gli slogan. Io la ruspa non l`ho mai usata come arma ideologica. Da sindaco ho smantellato più di 150 insediamenti abusivi e liberato 49 case popolari irregolarmente occupate e poi restituite a chi ne aveva diritto. E 4o sgomberi, sempre senza l’uso della forza. Anche sulla tragedia della morte di Duccio Dini, dopo gli arresti dei quattro rom di ieri, ho rilanciato una proposta seria, che illustrai al Corriere nel marzo 2017: togliere le case popolari a chi delinque e ripensare i criteri di assegnazione per evitare ghetti ingestibili».

 

Nel 2013, io capoluoghi su n della Toscana erano “rossi”. Oggi, al centrosinistra, rimangono solo Lucca, Prato e Firenze. Perché il suo partito ha perso tutto quello che era possibile perdere?

 
«Oltre alle evidenti difficoltà nazionali e alla luna di miele del governo, chi conosce la Toscana sa bene che a Pisa, Siena e Massa si è perso anche per ragioni locali, legate alla scelta tardiva dei candidati e alla esasperante litigiosità interna. Nei Comuni fiorentini, abbiamo invece vinto e gli elettori hanno premiato i sindaci che si sono occupati dei problemi dei cittadini. Ripartiamo da qui».

 

A maggio lei si giocherà la riconferma a sindaco e sarà dura. Non dovrà solo difendere il fortino del renzismo: la sua sfida avrà un valore nazionale. Da mesi sta inaugurando a raffica nuovi impianti di illuminazione, centinaia di telecamere… Si gioca tutto sulla sicurezza?

 
«Firenze non è un fortino da difendere, ma una realtà dalla quale rilanciare una nuova politica. Qui abbiamo vinto sempre e anche il 4 marzo il nostro risultato è in netta controtendenza con il dato nazionale. Uno dei motivi è il nostro stile di amministrazione che, tra l’altro, ha sempre considerato la sicurezza un aspetto centrale, ma la campagna elettorale si giocherà anche su temi come il trasporto pubblico, la realizzazione delle tranvie, il sostegno alle famiglie in difficoltà. Per noi, a differenza della Lega, il rispetto delle regole va insieme al civismo e alla cultura, che sono alla base della nostra proposta di legge per l`introduzione dell’educazione civica come materia obbligatoria in tutte le scuole».

 

Ora Matteo Renzi non è più segretario, ma le responsabilità di questo crollo vengono anche dal passato. Avete solo perso la vostra identità di sinistra o c’è dell’altro?

 
«Abbiamo smesso da molti anni di formare la classe dirigente, come del resto anche gli altri. Abbiamo trascurato il radicamento nelle città e nei territori, delegando spesso ai capi bastone la gestione del consenso. Ci siamo illusi che bastasse rivendicare una tradizione politica o che bastasse la buona azione di governo per accrescere il consenso nel Paese. Invece dobbiamo parlare al cuore delle persone, stare accanto alle loro preoccupazioni e proporre una visione».

 

Calenda ha proposto di superare il Pd lanciando il Fronte Repubblicano. Altri vogliono proprio cancellarlo… Lei, nato e cresciuto a pane e Ds, cosa propone per resuscitare il suo partito?

 
«Non concordo con la cancellazione del Pd o un progetto artificiale da laboratorio come rischia di essere il Fronte Repubblicano. Non basta neanche una riverniciata delle facciate di questa nostra casa. Costruiamo nuove fondamenta. Io penso ad un Rinascimento che parta dal basso, dalle città, dalla capacità di affrontare i problemi quotidiani, da valori e idee nuove e coraggiose. Magari anche ripensando la forma partito. Allora sì che rifonderemmo il Pd in un contenitore nuovo, che potrebbe essere quello dei Democratici italiani».

 

Sabato c’è l’ennesima assemblea “decisiva” del Pd. Lei è per la riconferma di Martina segretario o per aprire subito il congresso?

 
«Deciderà l’assemblea, di cui peraltro non sono membro. Ma non è con una formula o il semplice cambio del segretario che avremo una svolta. Il congresso è certamente la chiave di un cammino che dovrà essere lungo, impegnativo, aperto e coinvolgente per essere vero».

 

Nicola Zingaretti, con un progetto di sinistra, è già in campo. Appoggerà lui o meglio un profilo più moderato alla Gentiloni?

 
«Sono entrambi validi e autorevoli, ma l’ho già detto: prima del nome ci vuole un progetto politico vero, popolare».

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