Marco Minniti, ex ministro dell’Interno nel governo Gentiloni, è a Caserta per un dibattito sull’immigrazione alla festa dell’Avanti.
Onorevole Minniti, cosa pensa della centralità che l’attuale governo dà al tema dell’immigrazione?
«È una centralità frutto di una strategia della tensione comunicativa. Non abbiamo, in questo momento, e neanche tre mesi fa quando questo governo si è insediato, una vera emergenza immigrazione. Niente di paragonabile a quanto accadeva fino al giugno del 2017, quando nel giro di 36 ore arrivarono in Italia ben 26 navi».
Come affrontò quell’emergenza da ministro dell’Interno?
«Con un’iniziativa molto forte, in grado di arrestare fino all’80 per cento degli arrivi generali e l’85 per cento di arrivi dalla Libia. Una politica ben precisa che coinvolgeva il rapporto Europa-Africa, con una serie di intese. Ora non esiste alcuna vera tensione immigrazione».
Perché pensa che invece questa tensione sia tema quotidiano nelle agende del governo attuale?
«Per tenere sotto pressione l’Europa in un’ottica di rottura che non è possibile sostenere sui temi dell’euro e dell’economia. Non esiste uno spread sull’immigrazione, ma si può ottenere lo stesso effetto politico colpendo al cuore l’Europa. C’è questo dietro la richiesta di solidarietà all’Europa, per ottenere il cambio del trattato di Dublino. E mentre si fa questo, sollecitando solidarietà e dialogo, si promuovono alleanze politiche con i Paesi meno solidali e più chiusi, come l’Ungheria che non ha alcuna idea di cambio del trattato. L’immagine plastica è stato il contemporaneo incontro del ministro Salvini con il premier ungherese Orban e del premier Conte con il premier della repubblica Ceca».
Che lettura dà a questa politica governativa?
«Chiediamo alleanze a chi nega la solidarietà. Come affidare le pecore al lupo. Sarebbe un’alleanza strategica che nega la discussione su un progetto europeo unitario sull’immigrazione».
Sul tema caldo della sicurezza, il governatore campano, De Luca, denuncia l’assenza strategica e progettuale del Pd. È d’accordo?
«Sono convinto che bisogna comprendere perché si sono perse le elezioni. È stata una sconfitta determinata da tante ragioni, ma soprattutto perché non abbiamo saputo dare risposte a due grandi sentimenti: la rabbia e la paura. Sono sentimenti molto forti, che vanno oltre l’Italia e attraversano tutta l’Europa. Basta vedere i risultati delle elezioni di altri Paesi europei per rendersene conto. È questo il grande tema, che passa per un diverso ascolto di questi sentimenti».
Cosa intende dire?
«Tra noi, la sinistra, e i nazional-populisti su questo esistono profonde differenze. Noi siamo accanto a quelli che hanno paura, ma la risposta al loro sentimento non possono essere le statistiche. Certo, dimostrano che in cinque anni sono calati i reati, ma sono dati freddi che non soddisfano un sentimento. Neanche i numeri sul calo di reati avuto nel 2017, che è stato maggiore nell’ultimo decennio. Le statistiche alzano solo barriere».
Un limite della sinistra e del Pd?
«Su questo si gioca la partita politica futura. Dobbiamo mostrare maggiore ascolto ai sentimenti, che esprimono soprattutto i ceti più umili. Ma dobbiamo anche trasformare la loro rabbia in un progetto positivo. I nazional-popolari ascoltano di più, ma senza avere un progetto che affronti e risolva i sentimenti di rabbia a paura. Non abbiamo una situazione di emergenza, ma tenere il Paese sul filo di una perenne tensione diventa un pericolo per la democrazia. Vanno coniugate umanità e sicurezza. Come feci da ministro, a Napoli, nell’affrontare il problema delle baby gang. Più agenti di polizia, ma anche più progetti educativi. Le piazze sono più sicure se sono vissute con attività sociali. È stato l’obiettivo perseguito anche nel periodo di maggiore allarme terrorismo internazionale, quando ci fu un aumento contemporaneo di flussi turistici in Italia. Era il risultato della sintesi tra sicurezza e libertà».
Pensa che il tema mafia sia assente dall’agenda dell’attuale governo?
«Terrorismo e mafia sono due temi fondamentali per la democrazia. L’argomento mafia era assente e sottovalutato anche in campagna elettorale. Allora parlai di silenzio assordante. Sono convinto che sia un tema da tenere al centro del dibattito e dell’impegno politico».