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Emiliano: Ilva non va chiusa. Serve la riconversione a gas

«Se si vuole un’Ilva che inquini meno, il governo è ancora in tempo». E il senso della lettera che Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, ha inviato lo scorso 10 luglio al ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio. Lo spiega lo stesso Emiliano, ribadendo che l’obiettivo della lettera che Di Maio ha girato all’Anac di Cantone non è in alcun modo la chiusura dell’Ilva. Bensì, quello di imprimere un forte cambiamento tecnologico al colosso siderurgico con la decarbonizzazione, ovvero il maggior utilizzo del gas al posto del carbone per produrre l’acciaio. Approfittando anche dell’arrivo in Puglia, con Tap, del gas dell’Azerbaigian.

Presidente, nella lettera lei parla di zone d’ombra sui criteri di assegnazione dell’Ilva. Quali sono?
«Il dubbio principale è che la preferenza data a Am Investco è basata sostanzialmente sull’offerta economica: 1,8 miliardi contro gli 1,2 miliardi di Accialtalia, senza considerare i maggior investimenti ambientali di quest’ultima, con l’utilizzo del Dri, il forno elettrico a gas con carica di preridotto».

Le cordate erano consapevoli che, nella valutazione, il prezzo avrebbe avuto un peso del 50%, il piano industriale del 30% e quello ambientale del 20%.
«E io dissi subito che il vantaggio del prezzo, visti i tempi per l’assegnazione definitiva e le perdite di Ilva pari a 30 milioni al mese, sarebbe stato presto vanificato».

In effetti dall’aggiudicazione del giugno 2017 a oggi, si sono bruciati già 400 milioni. Con la sua lettera, e in attesa che l’Anac si pronunci, si perderanno altri mesi e altri soldi. Perché si è mosso con un anno di ritardo?
«Perché adesso è cambiato il governo e il ministro dello Sviluppo mi ascolta. Il predecessore Calenda no».

Sta parlando di un governo a guida Pd, il suo partito.
«Infatti non mi è mai stato permesso di parlare di decarbonizzazione neanche all’interno del partito».

Forse perché la decarbonizzazione tout court non è presa in considerazione da nessun produttore di acciaio al mondo: troppo costosa.
«Ma questo era il momento per chiederla. Perché la Ue è pronta a finanziare chi inquina meno. E poi c’è l’arrivo in Puglia dei 20 miliardi di metri cubi di gas di Tap: se una parte venisse concessa a prezzi più favorevoli come compensazione?».

Lei ha sempre contestato l’approdo di Tap a Melendugno, nel Salento. Ormai, però, si è arresa anche la ministra Lezzi: si tratta di un accordo internazionale blindato.
«Il contratto internazionale non si può sciogliere, ma l’approdo si può cambiare con un decreto. Poche decine di chilometri più a nord di Melendugno c’è Mesagne: il gasdotto non sbarcherebbe su una delle più belle spiagge di Puglia e si eviterebbero 55 chilometri di gasdotto onshore che costano 400 milioni che pagherà il contribuente italiano in tariffa. Senza considerare che i lavori di movimento terra in piena zona di Sacra corona unita sono a rischio. Come ho già segnalato in commissione antimafia».

Ma ormai è stata assegnata alla cordata di ArcelorMittal, che non vuol saperne del gas.
«Sì, adesso l’interlocutore è ArcelorMittal. Ma penso che Di Maio, anche sulla base del parere dell’Anac, abbia la possibilità di rivalutare il contratto con l’utilizzo di tecnologie di produzione innovative. Del resto, ha già detto ad ArcelorMittal di aver avuto risposte insoddisfacenti sul fronte esuberi e ambiente».

L’Anac potrebbe non riscontrare nulla. E Di Maio potrebbe dire che è troppo tardi per ovviare a una scelta del Pd. Ne uscirebbe bene anche politicamente.
«Sappia, però, che in tal caso, con me passerebbe gli stessi guai».

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