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Gozi: “Sto con Giachetti. Per vincere”

Si può dire tutto della mozione Giachetti – sulla carta il fanalino di coda alle primarie del Pd – tranne che si diletti con equilibrismi politici. Forse per questo, in un clima di concertazione interna, i nomi dipeso chela sostengono si riducono a due: Maria Elena Boschi e Sandro Gozi. Eppure, secondo Gozi, «Con Giachetti corriamo per vincere».

Come mai, dalla maggioranza renziana, ha scelto di sostenere una mozione di minoranza, nata in extremis?

«Perché credo che coerenza e coraggio vadano premiati. Coerenza, perché Giachetti è stato sempre lealmente a sostegno dei governi Renzi e Gentiloni, pur con la sua autonomia e franchezza. Coraggio, perché tutti volevano queste primarie organizzate intorno a due blocchi, sui quali si sono ammassati tutti i dirigenti del partito. Senza particolare sostegno mediatico e politico, Giachetti e Ascani si sono gettati nella mischia con la forza delle loro idee e questa è merce rara, sia nella politica italiana che nel Pd».

Siete in pochi, ad esservi schierati con lui.

«La nostra può apparire una mozione di minoranza tra i dirigenti, i parlamentari e i sindaci, ma sono convinto che corrisponda alla maggioranza degli elettori del Pd».

Giachetti è il più renziano di tutti, nel rivendicare l’operato dei governi dem.

«È l’unico che dice che non c’è nulla di cui chiedere scusa, perché abbiamo governato in un periodo difficilissimo in tutto l’Occidente e fatto riforme fondamentali. Io sono d’accordo con lui e dico che la linea da seguire rimane quella, pur facendo tesoro degli errori».

E come mai in pochi, tra i renziani che stavano in quel governo, seguono questa linea di pensiero?

«Guardi, devo dire che questo fatto non mi sorprende. Mi limito a constatare che, forse, servirebbe un minimo di coerenza in più da parte di chi ha beneficiato, e anche molto, della disponibilità di Renzi. Più hanno ricevuto ruoli chiave, più ora sembrano dimenticare la loro esperienza di governo e hanno voluto allontanarsi da lì dopo il 4 marzo».

Qualche sassolino vuole toglierselo?

«Nessuna polemica, solo fatti. Mi riferisco ovviamente ad alcuni ministri, a partire da Paolo Gentiloni, che se ha fatto il ministro degli Esteri e poi il premier dopotutto lo deve a Renzi. Io li rispetto molto e ho lavorato veramente bene con loro, ma mi sfuggono le ragioni della loro scelta pro Zingaretti. Io, come le dicevo, mi trovo molto bene coi pochi parlamentari che sostengono Giachetti».

Volendo fare l’avvocato del diavolo, le direi che proprio la mancanza di autocritica è probabilmente stato l’errore madornale di Matteo Renzi.

«Parliamo degli errori. Uno: il piano Minniti andava attuato nel 2014 e non nel 2017, perché ha ridotto gli sbarchi dell’80% e ci ha permesso di controllami flussi migratori. Se fosse partito prima, avremmo fatto capire agli elettori che non è in atto nessuna invasione e avremmo tolto un’arma a Matteo Salvini. Due: il reddito di inclusione sociale doveva partire con più risorse e già nel 2015, non ho mai capito perché il ministro Poletti ci abbia messo un anno e mezzo per farlo partire. Così avremmo tolto un cavallo di battaglia ai 5 Stelle».

Qualche autocritica nella gestione del partito?

«Avremmo dovuto attuare pienamente lo statuto, che ci avrebbe permesso di essere avamposto politico nel cuore della società. Dentro ci sono innovazioni come ireferendum degli iscritti e le consultazioni online: cose scritte nel 2007 e mai attuate, ma che ci avrebbero permesso n dialogo permanente con una fetta di elettorato più ampia rispetto ai soli iscritti. Le basta come autocritica?».

E un inizio.

«Glielo ripeto, io non dico che tutto è andato bene, ma rivendico che abbiamo avviato il più grande processo di riforma dell’Italia. Dovremmo andarne fieri».

Che mi dice degli alleati? Giachetti è stato categorico nel dire che lui non vuole il ritorno degli ex Pd.

«Distinguiamo le cose. Per me, partito vuol dire comunità e per me non è possibile rifare comunità con chi ogni giorno ha fatto opposizione interna a Renzi e ha dato spettacolo di un Pd in perenne litigio, che addirittura ha fatto i comitati per il no al referendum. Con loro è impossibile rifare un partito: il partito in cui staranno loro non sarà il mio».

Se vincesse Zingaretti, però…

«Vedremo chi vincerà. Se il vincitore decidesse di rifare una comunità all’insegna della più diretta filiera Ds 2.0, però, quello non potrebbe mai essere il mio partito».

I sondaggi danno Zingaretti sostanzialmente per eletto, però. Si deve preoccupare?

«I sondaggi non ci azzeccano mai, figuriamoci per le primarie. Facciamo così: auguro a Zingaretti ottimi exit poll».

Eppure in Sardegna proprio l’alleanza con la sinistra vi ha rimessi in gioco.

«Con loro si può fare un’alleanza senza farci per forza un partito. Mi faccia dire una cosa sulla Sardegna, però: abbiamo perso con un distacco di 14 punti in una regione che stavamo governando, quindi certe esultanze sembrano fuori luogo. La Sardegna dimostra che dobbiamo costruire un Pd radicalmente diverso dai 5 Stelle, che stanno implodendo, e quanto sbagliavano quelli come Martina, che volevano portarci al governo con loro».

Torniamo al Pd. E se nessun candidato arrivasse al 51%?

«Se non ci fosse una maggioranza netta, entreremmo in uno scenario di grande incertezza. In quel caso, valuteremo in Assemblea quale scelta prendere. Il problema non mi sembra questo, però».

E quale sarebbe?

«La questione non sono i nomi, ma come diventare avamposto nella società, come dialogare ed essere à centro dei problemi e come ridare speranza. Per questo, al totonomi ho sempre preferito il totoidee. Lo stesso vale in Europa: non possiamo ridurre il dibattito è Pisapia o Calenda sì o no. Così rischiamo di giocarci sia il presente che il futuro».

Lo ha citato lei, condivide il Manifesto di Calenda?

«Io mi ritrovo nei valori generali e nelle proposte del manifesto, ma la battaglia europea non la scopro certo adesso. Detto questo, non sono sicuro che in un sistema proporzionale mettere tutto l’europeismo in una sola lista sia la strada migliore».

Quindi che propone?

«Sono presidente dell’Unione Federalisti Europei e il nostro obiettivo è di rivolgerci a tutti i partiti europeisti perché convergano su alcuni punti chiari: un patto finanza-clima, piano di investimenti sociali, un esercito comune europeo, un nuovo governo più democratico della zona euro. Abbiamo appena pubblicato il nostro manifesto nei 28 stati membri, anche nel Regno Unito. Non vogliamo che tutti convergano in una sola lista, ma che convergano sulle scelte politiche attorno a cui costruire una nuova maggioranza politica europea oltre le divisioni partitiche del passato».

Niente lista unitaria, quindi?

«Ripeto che non sono convinto. Anche perché noto che per ora solo il Pd si è detto disponibile: Più Europa, Verdi e Italia in Comune hanno detto no. Così, un’idea piena di buoni propositi rischia di rispolverare il vecchio metodo degli indipendenti di sinistra dei tempi del Pci».

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