Due ricette diverse per il congresso del Pd. Marco Minniti è candidato alla guida del partito, mentre Paolo Gentiloni sosterrà alle primarie Nicola Zingaretti. Entrambi però hanno chiaro quale sia il vero avversario da battere: la Lega e il rischio populista. Ne parla Gentiloni nel suo libro che presenterà oggi al Centro congressi di Bergamo, insieme a Nando Pagnoncelli e a Paolo Magri. E ne ha parlato ieri, sempre in città, l’ex ministro dell’Interno, che è stato contestato da un gruppo di giovani.
«Quando qualcuno fa paragoni, io rispetto tutti, ma quei paragoni è la replica di Minniti li considero inaccettabili. Non c’è nulla che possa paragonare quello che si è fatto, con quelle aspirazioni e aspettative, con quello che si sta facendo adesso».
L’ex premier questa sera presenta il suo libro con Pagnoncelli. Nelle settimane precedenti il voto del 4 marzo il dubbio veniva da diverse voci: il Pd farebbe un risultato migliore indicando come leader Paolo Gentiloni anziché Matteo Renzi. La disfatta delle Politiche è stata tale da legittimare quanto meno il dubbio. Oggi Gentiloni ha scelto di stare in seconda fila, sostenendo Nicola Zingaretti alle primarie del Pd. E sottolineando, con il titolo del suo libro
«La sfida impopulista» (edito da Rizzoli, questa sera la presentazione con Nando Pagnoncelli e Paolo Magri, alle 18.30 al Centro congressi Giovanni XXIII per il Bergamo Festival), qual è l’ostacolo da affrontare nei prossimi mesi. I sondaggi confermano che oggi le forze populiste sono maggioranza assoluta nel Paese. Da dove è iniziato tutto questo?
«Vedremo di qui a qualche mese, quando si terranno le elezioni europee. Sa, il consenso è volatile e spesso evapora molto rapidamente. Il consenso alle forze nazionaliste e populiste deriva dal disagio di molti cittadini acuito negli anni, sotto i colpi di una globalizzazione che ha dato tante opportunità ma anche allargato il divario socioeconomico; e dell’irrompere di un tema come quello migratorio che necessita di risposte lungimiranti, ma richiama spesso propaganda».
I governi del Pd non hanno alimentato questo meccanismo (vedi abolizione Imu prima casa, 80 euro)?
«Rivendico le politiche messe in campo dai governi di centrosinistra. Certo, abbiamo commesso errori, ma siamo usciti dalla crisi, e ora rischiamo di ripiombarci. Il Governo è prigioniero della propria propaganda. Penso ad esempio al reddito di inclusione, una prima risposta al tema della povertà che doveva essere ripreso ed esteso invece che inseguire le promesse elettorali sul reddito di cittadinanza, destinate a restare nel libro dei sogni dei M5S».
Quello che sta succedendo in Francia dice che il distacco tra forze progressiste e ceti popolari è definitivo?
«No, ma il rischio non va sottovalutato. C’è una sofferenza crescente delle forze progressiste e liberali, talvolta viste come espressione degli interessi delle grandi città piuttosto che delle realtà più remote. Succede in Francia, in Inghilterra, succede anche da noi. Ma la risposta, come cerco di spiegare nel mio libro, non è inseguire il populismo. Questo governo può essere davvero pericoloso. Serve un’alternativa capace di ridare speranza agli italiani».
In che direzione è la soluzione, un’aggregazione dei progressisti con i moderati, o un ritorno a sinistra (Corbyn, Ocasio-Cortez)?
«Non so se valgano per tutti o bastino oscillazioni e spostamenti sull’asse destra-sinistra. Si pensi, ad esempio, al risultato molto positivo dei Verdi in Germania. Per l’Italia credo si debba mettere in pista una alleanza per l’alternativa di cui il Partito Democratico sia il perno, ma che aggreghi e articoli movimenti civici, forze moderate, ambientaliste, di sinistra».
Perché Zingaretti e non, ad esempio, Minniti?
«Tifo e tiferò innanzitutto per il Pd al congresso. Con Minniti e Martina abbiamo lavorato, e bene, nel mio governo. Credo che Zingaretti, abbia dalla sua il vantaggio di rappresentare una novità sulla scena nazionale».
Maurizio Martina, con la sua candidatura rischia di far fallire il congresso?
«No. Il problema semmai riguarda la data del congresso. Abbiamo perso davvero troppo tempo. Ora dobbiamo recuperarlo con un confronto che si rivolga prima di tutto agli italiani».
Se le primarie non eleggeranno un segretario, il Pd tra un anno esisterà ancora?
«A marzo il Pd avrà il suo nuovo segretario e sarà in campo per la sfida delle europee. La democrazia italiana ha bisogno di un’opposizione forte e capace di fare argine al nazional-populismo».
Giorgio Gori è tra quei sindaci che sostengono Minniti e sembrano aver individuato nella sicurezza il tema delle prossime sfide elettorali. Si rischia così di regalare più forza alle tesi leghiste?
«Gori fa un eccellente lavoro. Le nostre scelte, con Minniti ministro degli Interni, hanno funzionato. Salvini spaccia come suoi risultati gli effetti determinati dalla regolazione dei flussi e gli accordi internazionali, realizzati dal nostro esecutivo. Risolta l’emergenza, avrebbe le condizioni per una politica di quote di migranti regolari e di integrazione. Ma mi pare più interessato a cavalcare i problemi che a risolverli».
Esiste lo spazio, oggi, nell’opinione pubblica italiana, per affrontare l’immigrazione nel senso di un’accoglienza ampia ma rigorosa?
«Credo di sì. La propaganda alla lunga mostra la corda. E mettere in strada migliaia di persone senza soldi e senza prospettive, senza rimpatriarli e senza integrarli, finirà per moltiplicare i comportamenti illegali e potrebbe alla lunga addirittura minacciare la nostra sicurezza».
Cosa succede se l’anno prossimo la Lega stravince le Europee?
«Ne parleremo il giorno dopo le Europee, dove il Pd farà la sua parte e dove possiamo aspettarci più di una sorpresa. Una cosa è certa: nel parlamento e nelle istituzioni europee i nazionalpopulisti saranno una ristretta minoranza».