Sergio Chiamparino, il presidente della giunta regionale del Piemonte, è l’uomo con il quale Nicola Zingaretti ha scelto di avviare il nuovo inizio del Pd dopo le primarie di domenica.
Certo, Chiamparino, una bella responsabilità accompagnare nei suoi primi passi il segretario del Pd della riscossa.
«Quella di Zingaretti è stata una scelta politicamente molto importante almeno per due motivi. Il primo riguarda il riconoscimento del valore della prossima competizione elettorale in Piemonte, dove quest’anno si voterà per il rinnovo del consiglio regionale, come test decisamente significativo in una dimensione nazionale. Il secondo aspetto fa riferimento alla battaglia per la Tav intesa come il simbolo di una Italia che affrontando il tema delle grandi infrastrutture possa rimettersi in moto».
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha annunciato che il nodo sarà sciolto presto ed esclusivamente nell’interesse nazionale.
«Mi sembra che la montagna abbia partorito un topolino, anzi un brodino visto che c’è un ulteriore allungamento del brodo. La scadenza è dietro l’angolo e non capisco cosa ci sia ancora da approfondire. Le frasi che ho ascoltato da Conte sono le stesse da novembre. Se lunedì non partiranno i bandi sarà inevitabile mettere in campo tutte le forme di pressione politica necessarie e il primo passo sarà da parte mia far partire per il Ministero dell’Interno il quesito per avere il via libera alla consultazione popolare con le prossime elezioni europee».
Venendo a Torino, Zingaretti ha voluto anche inserirsi nei contrasti che tra M5S e Lega ci sono sulla Tav?
«Guardi, credo sia troppo comodo per Matteo Salvini scaricare soltanto sul M5S il peso della decisione da prendere. Questa è una partita dell’intero governo e l’intero governo deve assumersi l’onere di decidere. Non c’è più tempo, con i giochi a rinviare l’Italia è bloccata e non possiamo permettercelo».
Lei a Torino e Zingaretti a Roma dalle presidenze delle giunte regionali avete rapporti amministrativi con i sindaci M5S Chiara Appendino e Virginia Raggi. Immagina che sia possibile aprire con il M5S un dialogo politico?
«Io ho cercato e cerco ancora di avere una collaborazione istituzionale corretta con il sindaco Appendino: una intesa nell’interesse della città di Torino come di tutte le città del Piemonte, per favorire lo sviluppo e il cambiamento. Ma sulle questioni della Tav, delle Olimpiadi e ora delle finali Atp di tennis ho registrato chiusure che vanno nella direzione opposta. Chiusure del Movimento più che delle persone e, nel caso della finali Atp, risultato dei contrasti tra M5S e Lega. Difficile andare avanti così».
Quindi, dialogo chiuso con il M5S?
«Con il M5S sì, non ci potranno mai essere accordi politici. Con gli elettori no e, dico di più, ciò vale anche per i leghisti».
Dialogo anche con i leghisti?
«Certo, con chi ha votato Lega provenendo pure dalla sinistra. Occorre discutere e confrontarsi a partire dal tema della sicurezza e non per sfidare il loro ministro della paura, ma per sfatare ogni timore del diverso e riportare la questione sul terreno del controllo del territorio. E ciò vale per gli immigrati come per tutti gli altri. Salvini faccia il ministro dell’Interno e non agiti lo spauracchio dell’uomo nero».
Per il Pd si pone comunque il problema delle alleanze.
«Sì, ma non da ora. Io in Piemonte ho una maggioranza che dalla sinistra va ai moderati passando per alcune liste civiche. Ho poi attenzione a Più Europa, al movimento del sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, all’esperienza di Demos. Ecco, c’è bisogno di un’articolazione ampia dal centro alla sinistra».
In questo schema quale ruolo al Pd? Qualcuno teme la riproposizione del Pds in versione Zingaretti. Lei?
«No, questa del déjà vu mi pare una immagine di comodo costruita da chi non ha voluto cogliere il dato della grande affluenza alle primarie di un popolo democratico e di sinistra che ha chiesto di contare e di sancire una discontinuità verso il passato. Di guardare avanti».
Verso che cosa? Ora per il Pd di Zingaretti sarà necessario definire programmi e contenuti più precisi. Quali, secondo lei?
«Infrastrutture e sicurezza nei termini in cui mi sono espresso prima. Il lavoro e la risposta alle povertà. Temi che riguardano Nord e Sud in eguale misura».
Ma tra Nord e Sud non intravede il pericolo di uno strappo sociale prima ancora che amministrativo con la proposta di autonomia del cosiddetto regionalismo differenziato, per altro sostenuta anche dal Piemonte?
«No. La Regione Piemonte ha istruito una sua proposta, in base all’articolo 116 della Costituzione, individuando 12 materie. Ne abbiamo discusso a Torino con Zingaretti e convenuto che il Pd dovrà assumere una posizione unitaria, con il contributo dei governatori del Nord e del Sud, che chiarisca come l’obiettivo è la maggiore efficienza dello Stato e non la divisione dell’Italia tra ricchi e poveri».
Che resta un rischio.
«C’è un equivoco di fondo da rimuovere, L’articolo 116 non prevede che si possa toccare la quota fiscale che ogni Regione lascia allo Stato centrale. Prevede soltanto che, a fronte di maggiori competenze, uno abbia maggiori risorse per farvi fronte. Importante che lo Stato ne esca rafforzato e soprattutto che nessuno bari».