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Calenda: “Un fronte dalla sinistra ai liberali. Alle Europee con Gentiloni leader”

Carlo Calenda a 45 anni debutta oggi in libreria con «Orizzonti selvaggi. Capire la paura e ritrovare il coraggio» (Feltrinelli). Non il diario di un’esperienza, come capita a molte figure di governo dopo la scadenza di un mandato. Calenda racconta i passaggi chiave dei suoi anni da ministro dello Sviluppo, ma in una cornice più ampia: quella dell’impatto anche sociale e psicologico delle trasformazioni dell’economia nell’ultimo trentennio e le ragioni per cui la sua parte – quella dei progressisti – sta perdendo la battaglia per la democrazia che si sta combattendo in tutto l’Occidente.
 

Calenda, i governi pd hanno visto un netto peggioramento del deficit al netto degli interessi, una ripresa eppure un aumento dei poveri. Dove avete sbagliato?

 
«In primo luogo, abbiamo il Paese in sicurezza e nelle regole. Abbiamo fatto ripartire l’economia, favorendo gli investimenti, l’export, la ricerca e tagliando le tasse sulle imprese, ma non dimenticando chi resta indietro. Da ministro ho cercato di farlo con Industria 4.0 ma seguendo le crisi aziendali di Alcoa, Ilva, dei call center o delle acciaierie di Piombino. Ma questa seconda parte è rimasta quasi inavvertita travolta da una narrazione motivazionale e ottimistica. Il ritardo sul Reddito d’inclusione e il fallimento della Buona scuola sono stati poi gravi errori».
 

Perché, a suo avviso?

 
«Abbiamo pensato, come tutti i progressisti in Occidente, che i numeri della ripresa fossero tutto. E lì abbiamo perso contatto con il Paese. Perché se l’export fa i record, ma anche il numero dei poveri fa i record il Paese è ancora lontano dall’essere al sicuro».
 

Nel frattempo il Paese sembra aver perso la sua tenuta finanziaria. Che impressione le fa?

 
«La cosa più preoccupante non è il deficit, ma il caos. Preoccupa come siamo arrivati a questi obiettivi di finanza pubblica: in maniera menzognera, con l’idea superficiale di poter ingannare i mercati o l’Unione europea. Ciò che mi preoccupa di più è che il Paese va avanti a slogan ma è fuori controllo, non governato. Ci stanno esponendo al pubblico ludibrio, un grande Paese non si comporta così, il rischio è vicino e mortale».
 

Se ha ragione lei, perché a suo avviso?

 
«In primo luogo per incompetenza: Luigi Di Maio e Matteo Salvini non hanno mai gestito niente nella loro vita. Sono arrivati al governo senza quel minimo di umiltà che serve per imparare».
 

Le sue parole non sono un insulto alla maggioranza degli italiani, che sperano nei nuovi leader?

 
«E perché? Gli italiani hanno votato per chi sentivano più vicino alle loro paure legittime, quelle sul futuro e sul presente ed è dove noi abbiamo clamorosamente sbagliato. Non penso che la competenza possa sostituire la rappresentanza ma neanche che chi rappresenta un paese possa far a meno di imparare e di avvalersi delle competenze altrui. Un livello di arroganza senza precedenti».
 

Ora come vi riprendete voi del centrosinistra?

 
«Definendo insieme un programma per una democrazia progressista. Che abbia al centro il potenziamento dell’uomo attraverso un massiccio investimento su cultura e competenze e uno Stato forte ma non pervasivo nel proteggere e investire. Un Paese in cui l’analfabetismo funzionale è al 28% non ha ne futuro ne presente. Questo deve essere il nostro New Deal».
 

Ma in concreto?

 
«C’è bisogno di un grande lavoro sulla pubblica amministrazione, perché la buona gestione è cento volte più importante di qualunque riforma. E una politica economica che miri alla crescita tramite gli investimenti, ma agendo immediatamente sulle diseguaglianze. Serve un ribaltamento di prospettiva: se non cresce la società nel suo complesso anche con il Pil positivo e un milione di posti di lavoro perdi le elezioni».
 

È il suo programma per le Europee?

 
«Il programma è nel libro. Diciamo che questo sicuramente vuol dire andare alle Europee con un fronte più ampio promosso anche dal Pd, ma che includa parti della società civile e figure rappresentative della sinistra, fino ai liberali, e i movimenti civici. Un modo che ha molto più in comune di quanto ne abbia con Di Maio o Salvini».
 

Chi vede come leader?

 
«Dev’essere guidato da Paolo Gentiloni, che si deve candidare alle europee e presto, spero. In rappresentanza di un mondo che ripensa la democrazia liberale per preservarla, contro quelli che ci vogliono portare fuori dall’Occidente e dall’Europa. In un progetto del genere sarei disposto partecipare».

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