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Calenda: “Dovevamo fare di più per chi soffre. Ora ripartiamo dalla nostra storia e dalle cose positive fatte”

«Non è dal Pd fischiato a Genova che i dem devono ripartire ma dalla rifondazione di un progetto ideale solido e organico per i progressisti e dalle persone, allargando anche agli elettori moderati che non si riconoscono nel progetto di democrazia illiberale di Salvini e di Di Maio. Per questo occorre andare oltre il Pd». Carlo Calenda, l’ex ministro dello Sviluppo economico, attaccato su Ilva dal vicepremier e suo successore al ministero Luigi Di Maio, contrattacca («Di Maio ha messo su un circo») e propone una strategia per il centrosinistra.
 

Calenda, davvero nel Pd si riconoscono sempre meno persone?

 
«Penso che purtroppo sia così».
 

La colpa?

 
«È frutto di errori fatti, pur avendo secondo me governato bene. Ma siamo rimasti legati alla retorica progressista degli anni Novanta. Ottimistica. Abbiamo dato la sensazione di stare dalla parte dei vincenti, alienandoci un pezzo di Paese. Sia chiaro, è una crisi di tutto l’Occidente con l’impoverimento delle classi medie, l’aumento delle diseguaglianze, la diminuzione della mobilità socialee, l’aumento dell’analfabetismo funzionale. I progressisti non hanno generato progresso negli ultimi decenni».  

Il segretario del Pd, Maurizio Martina, dice che bisogna ripartire proprio dai fischi che ai funerali delle vittime del crollo del ponte sul Polcevera a Genova sono stati indirizzati ai dem. È d’accordo?

 
«Io dico di no. In Italia il passato e chi ne ha fatto parte è sempre colpevole, a prescindere. Non è un tratto positivo del Paese».
 

Salvini e Di Maio sono stati applauditi.

 
«Infatti il nuovo è accolto con entusiasmo. Per alcuni mesi. È successo con Berlusconi e con Renzi. Il Pd deve ripartire dalle idee: dalla fondazione di un nuovo pensiero progressista con un ruolo molto più forte per lo Stato nelle trasformazioni. Non sto parlando affatto di buttare soldi nelle nazionalizzazioni, ma di un ruolo dello Stato simile a quello svolto nel dopoguerra o nella fase del New Deal con un ripensamento della società e degli strumenti per potenziare l’uomo, e non solo la tecnologia e l’economia».
 

In pratica un nuovo pensiero progressista, magari in un nuovo partito con un nuovo nome?

 
«Il nome nuovo è la parte più facile. Piuttosto si tratta di rifondare un pensiero progressista organico, di difendere la democrazia liberale che da un lato Salvini e Orban vogliono abbattere per seguire le sirene del Putinismo, dall’altro i M5S smantellare in nome di una finta democrazia diretta. E soprattutto aprire il confronto con tutti quei cittadini anche moderati che non vogliono vedere l’Italia rischiare il default, impoverirsi ancora di più, emarginarsi e diventare come Ungheria e Polonia».
 

Manca una leadership e una nuova classe dirigente?

 
«Penso a tanti nomi: a Enrico Giovannini che tira le fila del mondo della sostenibilità, a Ermete Realacci per quanto riguarda l’ambiente, al sindacalista Marco Bentivogli, al sociologo Stefano Allievi, a Mauro Magatti a proposito di economia sociale e a tanti altri».
 

E la leadership?

 
«La leadership deve incarnare questo sforzo politico costruendo qualcosa oltre il Pd. Ho fatto il nome di Gentiloni, ma vedo che ha un ruolo sempre più defilato e non so se sia più interessato a farlo».
 

Non trova che i dem siano in difficoltà persino a fare opposizione?

 
«È difficile fare l’opposizione di una maggioranza che ogni giorno fa una boutade mediatica. Ma d’altra parte Lega e M5S se la fanno loro stessi l’opposizione, perché stanno costruendo le premesse per arrivare a un disastro in autunno con la manovra economica e le pagliacciate come quella dell’Alitalia, la vergogna della Diciotti, le richieste di aiuto ai russi e ai cinesi sul debito. L’Italia è in questo momento fuori controllo».
 

C’è stato un cambiamento di rotta nel Pd del dopo Renzi?

 
«No. Io non vedo un processo di costruzione. Una parte del Pd attende il terzo avvento di Renzi con la Leopolda e l’altra parte una crisi Lega-M5S per fare l’accordo coni grillini. Strategie deboli entrambe. Per rafforzare l’opposizione dobbiamo costituire un governo-ombra, marcando a uomo questi ministri incapaci».
 

Lei ha scritto un libro-manifesto. Come si intitola?

 
«”Orizzonti selvaggi. Capire la paura per trovare il coraggio”».

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