Il Pd va in controtendenza rispetto alla débacle dei ballottaggi: prende il 30,4%, rielegge al ballottaggio con il 62% il sindaco Valeria Mancinelli energico ed esperto avvocato amministrativista e sconfigge il centrodestra unito dalla Lega a Casa Pound.
Sindaco, come è riuscita nell’impresa?
«Il principale ingrediente sono stati i risultati, i fatti concreti. Nel primo mandato abbiamo puntato tutto, sia perché è giusto, sia come base di consenso. La precondizione, però, è avere una coalizione di governo omogenea e coesa: non un cartello di sigle sempre più vuote bensì forze che mirano a obiettivi davvero condivisi».
Chi fa parte dell’alleanza?
«Pd, Verdi e tre liste civiche. La prima volta c’era anche l’Udc, adesso no. E senza la galassia di sinistra-sinistra, una lista con quel che resta di Sel, che pure ha preso il 6% al primo turno: so che alcuni dei loro elettori mi hanno votata, ma non abbiamo cercato un accordo tra gruppi dirigenti distanti. Non ci sono stati apparentam enti né formali dichiarazioni di voto. Per fortuna, oggi i voti non appartengono più a nessuno».
Quali obiettivi di governo ha raggiunto nel primo mandato?
«Intanto 52 milioni di euro in investimenti nonostante un debito pregresso molto alto per strade, scuole, impianti sportivi, manutenzione ordinaria. Poi, finanziamenti extra-bilancio regionali, statali ed europei con cui abbiamo riqualificato pezzi di centro e il porto, che per noi conta molto. Infine, eventi culturali e di intrattenimento che hanno attratto visitatori e turisti. Tutto questo ha risvegliato nella comunità un senso di orgoglio e di appartenenza assai forte. E per il prossimo quinquennio disponiamo di un pacchetto di finanziamenti per 70 milioni che destineremo in gran parte alle periferie».
I big del partito Renzi, Gentiloni, Minniti, Martina sono venuti a fare campagna elettorale?
«D’intesa con il Pd locale non li abbiamo voluti. È stata una scelta condivisa e fatta anche cinque anni fa, quando il Pd non versava in queste grandissime difficoltà. Io sono iscritta al partito e non lo nascondo, ma qui si trattava di valutare la credibilità del governo della città».
Significa che dove il Pd ha perso, soprattutto in Toscana, è colpa dei sindaci?
«Non parlerei di colpe. Troppa semplificazione diventa caricaturale. Ma è vero che non esistono più il voto di appartenenza né le rendite di posizione. Qualche influenza della situazione nazionale c’è, ma devi fare e comunicare bene ciò che hai fatto. A dodici chilometri da qui, nell’ex roccaforte rossa di Chiaravalle, il centrosinistra si è spaccato, la coalizione ha preso il10% e il Pd il 7%…».
Meglio il «modello Lazio» di Nicola Zingaretti o il fronte repubblicano di Carlo Calenda? La riedizione del centrosinistra o l’allargamento al centro?
«Preferisco la terza via, il “modello Ancona”: prendi voti non con le chiacchiere ma se i cittadini ti percepiscono come soluzione reale ai loro problemi. È l’uovo di Colombo ma è la verità. Solo così batti i populismi».
A livello nazionale è meno facile.
«Vero, la scala è diversa, ma parlare di centrosinistra più largo o più stretto non dice nulla. Personalmente non considero né prioritaria né sufficiente la ricomposizione del centrosinistra, ma non è questo il punto: è un dibattito fuori tema. Continuando così non si approda da nessuna parte».
Cosa deve fare, allora, il Pd?
«Elaborare ricette vere e praticarle. Qui siamo al 30 per cento perché dopo un congresso vero e non di facciata il partito ha sostenuto l’amministrazione in modo convinto e leale. Tutti angioletti? No: si è votato e alla fine si è deciso di non fare opposizione al proprio governo».