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Il leader che seppe tenere insieme comunità e idealità, un esempio da seguire ancora oggi

Mi ricordo bene il primo voto alle primarie del Partito Democratico, la prima tessera presa in tutta la mia vita l’anno della sua fondazione, i discorsi del primo segretario Veltroni e la scelta del primo circolo. Il PD nasceva con l’ingresso di tante storie e eredità politiche importanti, con il progetto di una nuova identità plurale da costruire e consolidare, una nuova forza propulsiva per un’Italia all’altezza di un futuro migliore.

 

Appeso sulle pareti del primo circolo dove sono entrata si stagliava fiera la fotografia di Enrico Berlinguer, una foto che in questi anni ho ritrovato tante volte, simbolo di un pezzo fondamentale di storia che nessuno voleva lasciarsi alle spalle, ma anzi da portare con sé, anche come un monito di un certo modo di fare e interpretare la politica.

 

Quando il segretario del PCI ci lasciava, l’11 giugno 1984, io avevo pochi mesi. Eppure, cresciuta in una famiglia di sinistra, ho fatto presto a conoscere e apprezzare le ragioni del perché Berlinguer fosse riuscito ad instaurare un rapporto sentimentale così stretto col popolo e, forse per questo, ad essere oggi così tanto ricordato e amato, nonostante siano passati ben 36 anni. Mi è capitato tante volte di rivedere le immagini dei funerali di Enrico Berlinguer. Erano le immagini di un Paese sgomento, di una folla oceanica in piazza San Giovanni a Roma che diceva addio ad un uomo che, col suo carisma, era riuscito ad essere molto più che il segretario del Partito Comunista. Certamente era quello, ma era soprattutto l’uomo che sapeva parlare anche a chi non era comunista. In poche parole, era un vero leader.

 

Leader perché sapeva toccare il cuore delle persone, perché sapeva trascinare. Leader perché sapeva imprimersi nella testa e negli occhi di chi lo ascoltava dalla tv o durante un comizio. Leader perché sapeva fare scelte difficili, a volte impopolari, tenendo salda una visione forte. Un leader di un tempo in cui l’impegno politico era percepito – non solo da chi lo praticava – come una missione, tra le più nobili delle virtù. Una missione cui si dedicò anima e corpo, come ci racconta anche il suo ultimo comizio, in cui l’ictus poi lo portò drammaticamente via.

 

Enrico Berlinguer trasmetteva una fiducia disarmante, con la sua sincerità e rettitudine, con la capacità di parlare in modo semplice e comprensibile a tutte e a tutti, distante anni luce dal populismo sfoderato da tanti politici sovranisti oggi, che parlano alla pancia delle persone per risvegliare gli istinti più bui e violenti, trasformando le paure in rabbia sociale.

 

Perciò, quando oggi mi chiedo cosa voglia dire fare politica, ritrovo nella sua storia l’esempio più alto di chi seppe tenere insieme comunità e idealità. Concretezza e senso altissimo di valori e principi indiscutibili. Fare politica oggi per me vuol dire essere in grado di tenere quella barra valoriale sempre dritta, senza mai dimenticarmi di indossare le lenti giuste per leggere il mondo e la capacità di interpretare e comprendere bisogni e aspirazioni delle persone. Donne e uomini che ripongono nel Partito fiducia e che si aspettano di non essere delusi.

 

Sono una nativa democratica e quando ho scelto di militare in un Partito ho scelto il PD perché ci ho visto dentro una spinta propulsiva verso il cambiamento. Non un cambiamento fine a se stesso, ma una sorta di tensione al futuro, perenne e positiva, che deriva dall’ambizione di migliorare il mondo per le generazioni di oggi e quelle che verranno. Un cambiamento da un lato imposto dall’evolversi della società, ma soprattutto che nasce dalla necessità di riconoscere diritti e libertà sanciti dalla nostra Costituzione ma non ancora pienamente raggiunti per troppi, per molti. Questo era ciò in cui credeva anche Enrico Berlinguer, era il suo progetto “discusso fra la gente e per la gente”.

 

Molti lo definivano un conservatore ma è stato tra i più grandi interpreti del suo tempo e avviò un processo di trasformazione storico del Partito.

 

E da donna voglio ricordare il Berlinguer “femminista” che dopo un prima fase di scetticismo, comincia a delinearsi dopo la campagna per il referendum sull’aborto e arriva a proporre una lista femminista per le politiche del 1983, da affiancare a quella del Partito Comunista, che poi si sarebbe trasformata nella nascita del coordinamento delle parlamentari comuniste. Diceva che senza la rivoluzione femminile non ci sarebbe potuta essere alcuna rivoluzione socialista e il 4 marzo del 1984 pronunciò uno storico discorso attaccando il maschilismo della classe dirigente.

 

A 36 anni dalla scomparsa di Berlinguer, il Partito Democratico che rappresento orgogliosamente a Milano metropolitana è erede anche di quella tradizione, insieme a quella cattolica, a quella socialdemocratica e quella ambientalista e liberale. Onorare questa preziosa eredità oggi vuol dire fare sintesi, valorizzando le diverse anime che la compongono, e portare avanti un progetto che – forte della sua identità – punta a riformare il Paese e lotta per una società dove tutti abbiano gli stesi diritti, una società che sappia tenere insieme la crescita e lo sviluppo coi diritti sociali e ambientali, una società che scelga di ripartire dalle donne e dal loro protagonismo, una società che dia opportunità senza lasciare indietro nessuno.

 

Ma soprattutto a 36 anni dalla sua scomparsa Enrico Berlinguer è ancora un grande esempio del modo di fare politica: con generosità, rettitudine, per le persone e con le persone, partendo da una comunità generosa che vuole per cambiare il mondo.

 

Silvia Roggiani, segretaria del Pd Milano Metropolitana su Immagina

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