In questi giorni le foto strazianti dei corpicini di Aylan e suo fratello Galip sulla spiaggia turca di Bodrum hanno scosso le coscienze costringendo anche Paesi riottosi come la Gran Bretagna a rivedere propositi e posizioni. Ma la vera “sorpresa” è stata la Germania disponibile ad accogliere 800.000 profughi.
Una scelta che ha avviato un dibattito che credo non possa essere ridotto alla contrapposizione fra quanti hanno incensato la Merkel – passata in poche ore da perfida affamatrice della Grecia a paladina dei diritti umani universali – e quanti comunque continuano a considerare questo gesto come insufficiente a superare i “peccati” presenti e passati della Germania, il suo passato nazista e l’attuale strapotere economico e politico in Europa.
Personalmente credo che le semplificazioni non aiutino a cogliere il tratto più significativo del profilo della cancelliera. La Merkel è l’ultima epigona di una tradizione politica tedesca che ha avuto nella realpolitik la propria stella polare.
Si tratta sicuramente di una scelta tardiva e bene ha fatto il nostro governo a rivendicare di essere stato il primo a battersi per un approccio più umano ed europeo all’emergenza umanitaria in corso. Sicuramente è questa la direzione per tentare di corresponsabilizzare gli altri Stati europei in una cornice di azione comune che sia da moltiplicatore dei singoli sforzi e ne aumenti l’efficacia. A maggior ragione oggi, che la fuga in avanti tedesca con la decisione di sospendere unilateralmente il regolamento di Dublino rischia di provocare squilibri e fibrillazioni.
Questo non significa sminuire quello che c’è di buono e la forza simbolica della presa di posizione di Berlino, ma proprio il dirompente protagonismo tedesco ci porta a ritenere ancora più cruciale il ruolo che la Commissione deve giocare per arrivare a un coinvolgimento più ampio possibile degli altri Paesi membri, evitando un’altra frattura interna questa volta morale, fra Paesi e popoli. Credo sia necessario mantenere un equilibrio in Europa anche in prospettiva futura ed evitare di alimentare divisioni fra buoni e cattivi.
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