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Guerini: “Niente inciuci con M5S, Pd resta all’opposizione”

Gli editoriali del Corriere della Sera che scambiano il Pd per il Psi del ’76, ago della bilancia con il 9,6% tra la Dc al 38% e il Pci al 34%. Le offerte programmatiche dei 5 Stelle la cui ultima tattica, dopo tre settimane di flirt con Salvini, adesso è “facciamo come in Germania, accordo sui punti con chi ci sta”. Sarà questa l’offerta con cui il candidato premier Luigi Di Maio salirà al Colle domani pomeriggio. Sullo sfondo uno schema di gioco che il candidato premier 5 Stelle esplicita senza indugio: Salvini faccia fuori Berlusconi; il Pd faccia altrettanto con Renzi.
 
Lorenzo Guerini, coordinatore della segreteria del Pd, renziano ma con una propria autonomia, signore del dialogo e dell’ascolto, osserva la scena con il necessario distacco e la giusta freddezza. E chiude ad ogni apertura. Per una volta non ci sono dubbi sulla linea. Non adesso, almeno. “Nè inciuci né accordi il Pd saprà servire il Paese restando all’opposizione. Che non è l’Aventino”.
 

Galli della Loggia dice che “Renzi deve uscire dalla tenda”. E tornare in campo per contare. Come fece Craxi nel ’76. Cosa gli risponde?

 
«Credo che Galli Della Loggia nella sua analisi abbia ragione su un punto: nel riconoscere l’importanza della figura di Matteo Renzi che, anche dopo le dimissioni da segretario, è giusto e doveroso che contribuisca a definire la linea politica e il profilo del Pd. Sottolineo che uso il termine “contribuire” e non “dettare la linea”, come ogni tanto si legge in qualche retroscena, la differenza è sostanziale. Dopodiché Renzi ha rassegnato le dimissioni dopo l’esito elettorale con un atto di coerenza importante. E oggi il Pd è chiamato a fare i passi necessari per assicurare un nuovo segretario al partito che io credo debba essere individuato anche grazie a Renzi».
 

Bene, ma Renzi ha chiuso il Pd in una tenda?

 
«Discutiamo cosa vuol dire “chiuso in una tenda”: se è un modo per mettere in discussione il ruolo che il Pd ha deciso di assumere adesso, se cioè si critica la scelta di stare all’opposizione, è legittimo ma non la condivido. E, di conseguenza, non credo regga il paragone con Craxi. Se invece quello di Galli della Loggia è un invito ad assumere con ancora più coraggio, e con le normali correzioni ed integrazioni, un profilo politico-programmatico che mantenga nelle proprie fondamenta l’ambizione riformatrice messa in campo in questi cinque anni, perché così facendo il Pd si intesta l’ambizione di dar voce e rappresentare un pezzo importante della società italiana, sono totalmente d’accordo con il professore. Come vede, basta intendersi sul significato delle parole e il senso delle metafore».
 

È corretto, ancora oggi, identificare il Pd , il partito, con il suo ex segretario Matteo Renzi? Lo fanno quasi tutti i commentatori politici.

 
«Mi sorprendo quotidianamente nel constatare come ancora oggi ci sia una sorta di ossessione nei confronti di Renzi. Comunque, il partito è una comunità di persone che non si riduce solo nei suoi leaders e quindi anche in Renzi. Ma è altrettanto chiaro che un pezzo di quel 19 per cento, è stato anche il voto ad una leadership e non solo ad una comunità».
 

Tra poche ore il segretario reggente Maurizio Martina salirà al Colle in delegazione con il presidente Matteo Orfini e i capigruppo Marcucci e Delrio. Come spiegheranno al presidente Mattarella la scelta del Pd di stare all’opposizione in un quadro politico tripolare con due forze politiche che sono arrivate prime ma non hanno vinto?

 
«Credo rappresenteranno qualcosa che è nei fatti. È abissale la distanza tra il nostro impianto politico, culturale e programmatico rispetto a quello di chi è arrivato primo. Mi riferisco a Lega e 5 Stelle. Veniamo, tra l’altro, da tre settimane in cui questi due partiti hanno condotto molto in avanti lo loro intesa fino a portarla ad un passo dall’alleanza e in cui il presunto dialogo con il Pd è stato utilizzato da Di Maio solo come un secondo forno per alzare il prezzo nelle trattative con la Lega. Dopodiché indicheremo al Presidente l’agenda delle nostre priorità programmatiche per il Paese che intendiamo portare avanti in Parlamento anche se saremo all’opposizione».
 

Già, i programmi. Alla fine non sembra così impossibile trovare una sintesi tra flat tax e reddito di cittadinanza…

 
«Bè, c’è un piccolo problema, quello delle coperture finanziarie. Infatti questi due titoli così ambiziosi sono scomparsi dalla programmazione andata in onda in queste settimane…. alla fine arriveranno ad indicare lo strumento del Reddito di inclusione fatto dal Pd allargato ad una platea più grande di beneficiari, come tra l’altro sta già facendo il governo».
 

Sta dicendo che i 5 Stelle sono un partito di destra? Eppure l’analisi dei flussi di voto del 4 marzo dicono che un pio di milioni di voti sono transitati dal Pd a Di Maio.

 
«Dico quello che vedo: finora Di Maio ha flirtato con Salvini, si sono spartiti poltrone e incarichi. Il Movimento 5stelle oscilla tra posizioni ambigue sui temi chiave come diritti civili, immigrazione e Europa e posizioni sovraniste e di destra che non hanno nulla a che vedere con la nostra cultura politica e la nostra visione del Paese, dell’Europa e dei grandi processi che stanno interessando le società occidentali».
 

Di Maio oggi (ieri, ndr) davanti all’assemblea dei parlamentari 5 Stelle ha fatto un appello al Pd…

 
«Non è la prima volta che il leader politico dei 5 Stelle prova ad usarci per alzare il prezzo con la Lega. Ripeto: il suo gioco ormai è scoperto e, per come è stato condotto, irricevibile”.
 

Aventino vuol dire opposizione?

 
«No davvero. Questo è un altro gioco lessicale utilizzato in queste ore e non per caso. Andare sull’Aventino significa non partecipare ai lavori parlamentari, non andare in Parlamento. Altra cosa è fare opposizione in aula, stare qui facendo le nostre battaglie nell’interesse del Paese che abbiamo servito stando al governo e continueremo a servire anche all’opposizione».
 

Nei giorni di Pasqua l’Italia ha subito due crisi internazionali: la presenza della gendarmerie francese, armata, nel centro profughi di Bardonecchia; il premier Netanyahu che ci indica tra cui paesi che riceveranno i cittadini africani che lui non vuole in Israele. Come giudica le reazioni dei due partiti arrivati primi?

 
«Per Salvini sono stati due episodi utili a proseguire la sua campagna elettorale mai finita. I silenzi e i balbettii dei 5 Stelle dimostrano la loro ambiguità su temi chiave come l’immigrazione e la politica estera».
 

In un sistema elettorale proporzionale come il Rosatellum che avrebbe potuto sortire un effetto di non vittoria come è poi successo, qual è la politica delle alleanze del Pd?

 
«Abbiamo fatto una campagna elettorale con l’obiettivo di arrivare ad essere il primo partito per poi costruire una maggioranza parlamentare con una base programmatica con le radici ben piantate nel lavoro di questi cinque anni e con una collocazione europea assai evidente. Non è andata così, ora tocca agli altri».
 

Il segretario Martina ha detto che “il nostro è un partito che ascolta il presidente della Repubblica, e continuerà a farlo”. Che significa? Se il Colle chiede una mano voi obbedite?

 
“Condivido l’atteggiamento di grande sensibilità del Pd ad ogni singola parola del Capo dello Stato. Ciò detto, le consultazioni hanno una dinamica istituzionale molto chiara: il Presidente della Repubblica ascolta le posizioni delle delegazioni che salgono al Colle. E chi si è dichiarato vincitore delle elezioni dovrà uscire dai proclami ed indicare le basi programmatiche e i numeri in Parlamento su cui intende formare un governo ed una maggioranza parlamentare. Vedremo se ne saranno capaci».
 

Si dice che il presidente Mattarella potrebbe fare un primo e anche un secondo giro di consultazioni senza dare l’incarico. Il Pd è fermo all’opposizione anche se la situazione dovesse paralizzarsi?

 
«Noi non partecipiamo al gioco che impazza sui giornali e nei talk show. Il Capo dello Stato ha la cultura costituzionale e la saggezza politica che ne guideranno passi e scelte. In ogni caso, se permanesse una situazione di empasse, emergerà con chiarezza la debolezza dei vincitori, o presunti tali».
 

Guerini, lei aveva l’80% del gradimento e ha rinunciato a fare il capogruppo. Quanto le è costato? E perché ha dovuto farlo?

 
«Le manifestazioni di apprezzamento e stima mi hanno compensato (sorride, ndr) del passo indietro. Mi è sembrato giusto farlo, per sbloccare una situazione che era diventata potenzialmente rischiosa. Le nostre legittime ambizioni personali devono sempre cedere il passo alla comunità che si rappresenta. Credo sia giusto così. E sono contento di aver contribuito, anche con questo mio passo di lato, a far si che siano stati eletti all’unanimità due capigruppo, Marcucci e Delrio, che hanno capacità di guida dei gruppi e posizioni molto chiare sulla linea politica. Ne è valsa la pena».
 

Quanto è grave che il Pd non abbia neppure un questore tra Camera e Senato?

 
«È molto grave perché parliamo di ruoli di controllo e garanzia dai quali è stato escluso il secondo partito più votato dagli Italiani. Mi pare poi che nella composizione degli uffici di presidenza si sia manifestata con chiarezza la voracità di 5 Stelle e centrodestra. L’accordo di ferro tra Salvini e Di Maio».
 

Come sta il Pd?

 
«Entro aprile faremo l’assemblea. La cui data non è stata ancora fissata perché s’incrocia con le consultazioni. Sarà l’assemblea nazionale a decidere il percorso: vedremo se sarà eletto un segretario o se sarà convocato il congresso. In ogni caso, la strada del Pd è chiara, dentro e fuori il Parlamento».
 

Scissioni? Nuovi partiti? Se ne sente parlare in Parlamento…

 
«Credo che il nostro popolo ne abbia abbastanza di scissioni, litigi, divisioni, dimissioni. Sono ipotesi che non esistono e che spero non siano più evocate da nessuno”.

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