Lorenzo Guerini, come ci si sente ad essere vittima del durissimo scontro interno nel Pd?
«Io non mi sento vittima. Semmai, sono uno che ha dato una mano a far fare un passo avanti al Partito democratico. Il momento era complesso, non lo nego. Pericoloso. E rischiava di essere motivo di rottura del partito. Ho ritenuto che fosse giusto far prevalere l’unità del partito rispetto al mio percorso».
Il braccio di ferro sui capigruppo alla fine ha favorito Graziano Delrio, che lei frequenta tantissimo. Bell’amico, potrebbe dire qualcuno.
«Io e Graziano ci conosciamo da tempo, siamo amici e abbiamo la stessa linea politica. Nulla cambia sulla linea, dunque, rispetto all’ipotesi di una mia elezione alla guida del gruppo».
La verità è che tutto accade perché Renzi si impunta e decide di non mollare Andrea Marcucci a Palazzo Madama. È andata così?
«Non c’è stata un’impuntatura di Renzi al Senato. E infatti sono stati presi in esame anche altri nomi. Credo che chi si opponeva all’elezione di Marcucci abbia sbagliato ad esasperare i toni. E conoscendo la storia e le capacità di Andrea, credo sia stato giusto salvaguardare la sua posizione».
Resta il fatto che gli avversari di Renzi volevano la testa di Marcucci e hanno ottenuto la sua. Che tra l’altro non avevano chiesto, giusto?
«No, assolutamente. Anzi, anche oggi ho ricevuto parole di stima da parte di tutti, dalla maggioranza come dalla minoranza del partito. C’era un passaggio politico da affrontare, l’abbiamo affrontato così: non drammatizzerei, davvero».
Due renziani comunque alla guida dei gruppi. E normale, dopo il drammatico 18,7% del 5 marzo?
«Dal punto di vista politico abbiamo lavorato per avere due capigruppo espressione della mozione che ha vinto il congresso. L’abbiamo fatto costruendo l’unanimità di consensi, quindi è andata bene».
Il reggente Martina è uscito indebolito, a suo avviso?
«No, con Maurizio abbiamo lavorato per costruire una convergenza ampia. La sua proposta iniziale comprendeva il mio nome. Ho scelto io il passo indietro per sbloccare una situazione pericolosa».
Beh, comunque anche oggi è emerso un Pd diviso. Quasi due partiti in uno, no?
«No. L’applauso che ha sancito l’elezione dimostra che non è così. Noi siamo un partito dove non c’è un capo che impone i due capigruppó, ma dove una normale dialettica trova poi un punto di incontro».
Sempre diplomatico. Ma oggi non è più duro del solito esserlo, Guerini?
«(ride) Ma no, davvero. Non sono una vittima collaterale, semmai un protagonista per un passo avanti del Pd».