Patrick Gaspard, dopo la vittoria di Joe Biden negli Usa e quella dei socialisti in Canada, Germania, Norvegia, è realistico dire che dalla crisi post-Covid si esce a sinistra?
«Non do mai il successo per scontato. Ci sono ancora problemi. Moltissime persone hanno subito uno shock negli ultimi due anni e hanno una sorta di impazienza rispetto a quel che il governo può fare per migliorare le loro vite. Credo però che molte delle sfide che dovremo affrontare siano transnazionali: è un momento cruciale per i progressisti, c’è l’opportunità di fare scelte significative sul clima, l’economia dopo la pandemia, la necessità di creare una società inclusiva».
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Pensa che la pandemia abbia definitivamente indebolito i partiti che speculano sulla paura e la rabbia delle persone?
«Lo ha fatto, ha dimostrato che siamo interconnessi, che quel che è bene per me può esserlo anche per il mio vicino, quello che è orribile per me lo è per il mio vicino. E ha fatto capire al cittadino medio che non puoi risolvere problemi così complessi se non hai impalcature forti attorno alle istituzioni. Le persone si sono accorte di quel che significa: perdere welfare, servizi sanitari, trasporti. I beni che la pandemia ha dimostrato essere vitali».
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Anche in Italia, il problema è sempre quanto larga possa essere una coalizione progressista.
«Se è un problema, è un bel problema da avere in democrazia. Direi: il problema giusto. I partiti di destra hanno prospettive e punti di vista ristretti, i progressisti devono stare sotto una grande tenda. Impersonando un ampio spettro di interessi, lotte economiche, esperienze dei settori più fragili delle nostre comunità. È l’essenza della democrazia».