Onorevole Gasbarra che farete il 3 maggio?
«In queste settimane ho rispettato il difficile lavoro dei dirigenti nazionali del mio partito e aspettavo la convocazione dell’assemblea nazionale per sostenere che ho compreso la decisione presa da Renzi, ma non l’ho condivisa allora e tantomeno la condivido ora. Hanno ragione Giacomelli e Casini a sostenere che in questa fase non basta un reggente».
Dovrebbe ritirare le dimissioni da segretario?
«Quanto accaduto il 4 marzo, e quanto accaduto in Europa, è una rivoluzione che azzera il quadro politico del 900 e deve spingere il Pd a rideterminare la sua identità. Servono strumenti adeguati ai tempi cambiati e, ripeto, affrontare la formazione di un governo senza un timoniere è sbagliato».
Si potrebbe fare un congresso?
«Serve tempo, una riflessione approfondita. Occorre un congresso costituente, non una prova muscolare di qualcuno con qualcun’altro. Dobbiamo stabilire nuovi traguardi e nuove motivazioni. Ma soprattutto abbiamo bisogno di un congresso aperto, ai territori, alle persone, in grado di ridefinire l’identità del partito e discutere anche della collocazione europea».
Non più il Pse?
«Socialisti e popolari non saranno più i protagonisti della nuova Europa e se non vogliamo lasciare spazio a formazione politiche che costruiscono il loro consenso su illusorie speranze e paure, il Pd deve affrontare la stagione con strumenti non ordinari. Reggenze a tempo e congressi cotti e mangiati, non servono. Occorre coraggio nell’analizzare le cause della sconfitta e trovare una nuova identità».
Nel frattempo dovete decidere se trattare con il M5S. Che volete fare?
«Molti di noi, cattolici democratici, hanno costruito il Pd con l’ambizione di essere polo di attrazione. Inserire il Pd in uno schema di sinistra illusionista, posizionista e governista a tutti i costi, non mi convince e non credo sia utile al bene del Paese. C’è uno spazio, una terza via che è quella lanciata da Renzi con il referendum che è stata una sconfitta ma può essere germoglio di una nuova stagione».
E a Di Maio cosa direte?
«Io in direzione voterò “no” alla trattativa perché non trovo in quella formazione politica nessuna identità comune e non si può fare un governo per ragion di Stato. Il M5S è nato per distruggere il Pd ed è molto distante dalla missione del Pd e soprattutto dall’esperienza a me molto cara del popolarismo cattolico».
Non temete che così si vada diritti al voto?
«Al Pd serve coraggio e severità. Non dobbiamo aver paura di nulla. Nemmeno di un ritorno alle urne».