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G7, Prodi: “L’Italia promossa, ma Trump ha infranto lo spirito del summit”

Pofessor Prodi, il G7 è stato un successo o si poteva fare di più?

«Non si poteva fare di più. Il cambiamento del mondo ha mutato la natura di queste riunioni. La mancanza della Cina, la mancanza della Russia, la mancanza di un punto di coordinamento a livello globale rendono tutto più difficile. Questa, oltretutto, è una fase in cui la debolezza dell’Onu è parallela a quella di tutte le strutture che tendono a rappresentare la guida del mondo. Siamo ormai in un mondo frammentato, che non accetta nessun magnete».

 

Neppure un summit così importante come quello appena svoltosi a Taormina?

«In questa situazione, il G7 non può essere un motore. Abbiamo sostenuto negli ultimi anni che la grande utilità dei G7 e dei G8 (e io ho partecipato a dieci di questi consessi) non fosse quella non di decidere ma quella di offrire ai grandi Paesi del mondo un’importante sede di dialogo. Il fatto nuovo è che è fallita anche questa funzione».

 

Non c’erano state, ampiamente, delle avvisaglie di questo superamento dell’organismo?

 

«In passato si rimproverava il fatto che dai G7, G8 e simili uscivano comunicati finali generici. Tuttavia quelle conclusioni erano sempre frutto di un dialogo. Vi erano sempre stati tentativi e orientamenti per favorire l’armonizzazione delle varie posizioni. A Taormina, è mancata l’armonizzazione. Ed è stata sostituita dallo scontro. A riprova di questo, c’è il fatto che è saltato il comunicato finale».

 

Tutta colpa di Trump, oppure ci si nasconde dietro The Donald per non ammettere i propri deficit?

«È stato il presidente americano a far saltare lo schema che finora ho descritto, quello di un G7 in cui ci si sforza di trovare un’armonia. E del resto, Trump si è mostrato coerente con la sua posizione in campagna elettorale».

 

America first?

«Proprio questo. Quando si dice America first si fa saltare lo spirito su cui si reggeva il G7 e si passa a un multipolarismo non coordinato, in cui gli Stati Uniti non vogliono essere parte di un gruppo ma semplicemente first. E interpretano il multipolarismo come un bipolarismo di questo tipo: io sono più forte di te, di te, di te e anche di te. Per essere più forti, devono anche adottare la dottrina di dividere te da me».

 

Ma gli altri hanno provato a rompere questo schema. Non crede?

«Questa volta gli europei, esclusa la Gran Bretagna, erano d’accordo. Ma non hanno potuto produrre nulla». Qualcosa sì, Professore. «In questo caso, il problema non è stato che l’Europa era divisa. Ma che l’Europa non era protagonista. Trump ha trasformato un torneo amichevole in un girone a eliminatorie. È vero che non ha voluto fare una dichiarazione finale a Taormina, ma è vero anche che ha parlato, andando via da lì, alle truppe americane a Sigonella. Questo è un aspetto dalla valenza simbolica straordinaria».

 

Come lo dobbiamo decodificare?

«Mi sembra semplicissimo. Trump è andato ad assumere il ruolo del capitano della squadra vincente tra i suoi soldati. Viene in Italia, e non parla con nessuno ma soltanto con le proprie truppe».

 

In questo contesto, il ruolo dell’Italia al G7 lei come lo giudica?

«Abbiamo fatto il massimo che potevamo fare. Ne usciamo bene, con una bella figura. L’ospitalità è stata meravigliosa, l’organizzazione si è rivelata perfetta, abbiamo spinto in maniera cortese e determinata in favore di una mediazione e ci siamo mostrati aperti a modifiche e ad accordi. Gentiloni di più non poteva fare».

 

Non ci hanno però lasciati da soli, ancora una volta, sui migranti?

«Sì. Però devo anche dire che non era quella la sede in cui si potesse affrontare davvero tale questione. Perché riguarda l’Europa. Quello dei migranti non è un problema risolvibile al G7. Mi sarei accontentato comunque di vedere un po’ più di calore e di comprensione nei nostri confronti rispetto a questo fenomeno. Gentiloni ha fatto bene a sottolineare, a riguardo, il suo dispiaci mento».

 

E ora, che cosa bisogna fare?

«Credo che bisogni trarre spunto dal G7 di Taormina, che in questo è stato volenteroso, per spingere Europa verso una politica mediterranea. Facendo qualcosa di concreto. Perché non riprendiamo l’idea di fare una vera e propria banca europea del Mediterraneo?

 

Oppure università miste, con tanti studenti e professori del Sud, del Nord, e una serie di anni di studio al Sud e al Nord, in cui si trasmetta il senso di un cammino da fare insieme. L’Europa può e deve essere un luogo di mediazione e di preparazione di un nuovo Mediterraneo».

 

Ha pesato sulla Merkel a Taormina il fatto che tra poco in Germania si vota?

«No. Ciò che davvero ha pesato è stato il ciclone Trump. Dobbiamo inoltre riflettere sul fatto che al muscolarismo americano, la Cina e la Russia non potranno che rispondere con lo stesso muscolarismo. Io mi aspetto da queste nazioni, magari non tra un giorno o due, il medesimo impressionante sforzo di vendita delle armi che gli Stati Uniti hanno appena fatto in favore dell’Arabia Saudita».

 

Non si aspettava di più da Macron al suo debutto a Taormina?

«A me piace così. Il ruolo lo si conquista poco a poco e con i fatti. Io mi aspetto proposte concrete sull’esercito europeo o su qualche altro capitolo di cooperazione rafforzata, che riporti la Francia in un ruolo attivo a livello continentale».

 

La Merkel è sembrata spaesata.

«Posso risponderle con un’espressione dialettale?»

Ma certo.

«Le cadevano le braccia. Cioè capiva che, davanti al ciclone Trump, non c’era niente da fare. E non sapeva da che parte voltarsi. Ma Trump produce in me almeno un motivo di ottimismo. Sta risvegliando suo malgrado un patriottismo europeo. Sarebbe bello, tra qualche anno, ringraziare il presidente americano per aver dato lui la più vigorosa spinta verso l’unità dell’Europa».

 

Gentiloni, nella conferenza stampa finale, a molti è sembrato rassegnato al fatto che il suo governo durerà meno del previsto. Ha avuto questa sensazione anche lei?

«Non mi sembra. In proposito non vorrei essere noioso nel ribadire la mia personale preferenza. Credo che occorra arrivare nel modo più naturale alla fine della legislatura. Per poi votare con un sistema maggioritario, che dia tranquillità e stabilità all’Italia. Rendendola, finalmente, un Paese normale».

 

La questione dei voucher può essere il detonatore che fa saltare tutto?

«Non lo so. Dico solo una cosa: attenzione, per migliorare uno strumento positivo, che pure ha causato problemi, non si aiuti l’espansione del lavoro nero».

 

Lei ha appena ribadito che è contrario al proporzionale. Ma piaccia o non piaccia, non è l’unico sistema su cui sembra possibile un accordo e dunque occorre essere realisti?

«Le ripeto una vecchia barzelletta. Un ragazzo fa l’esame per capostazione. Gli dicono: ci sono due treni che vengono in senso contrario su un binario unico, lei che cosa fa? Accendo i semafori. E se non funzionano? Metto dei fuochi. E se c’è la nebbia e i fuochi non si vedono? Metto i petardi sui binari. E se piove e i petardi si spengono? Allora entro in casa, chiamo mia moglie e le dico: Rosina, vieni a vedere che bel disastro!».

 

 

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