Caro direttore, l`11 luglio del 1963, Benigno Zaccagnini intervenendo alla Camera, si rivolse a Togliatti con parole profetiche: «Noi sappiamo che anche il muro di Berlino verrà abbattuto: e non dai carri armati, ma dal cammino travolgente delle idee di libertà, di giustizia e di pace che ovunque avanzano nel mondo». Fummo in tanti a telefonarci emozionati e commossi la notte del 9 novembre 1989, con le immagini che arrivavano dalla Germania in sottofondo.
I giovani che «abbattevano» il Muro, la consapevolezza di assistere ad un istante scolpito nella storia. Ma l`euforia si mescolava alla malinconia: Zac se ne era andato appena quattro giorni prima. Non poté assistere a quanto aveva previsto.
Quello di Zaccagnini non è un santino sbiadito da venerare, una reliquia nella teca che ha smesso di sfidarci.
La sua eredità, a trent`anni dalla morte, è allo stesso tempo attuale ed esigente, perché ci costringe a fare i conti con le nostre inadeguatezze. Per noi ha rappresentato qualcosa di più profondo che un leader di riferimento. Sentivamo di far parte di una generazione, quella dei ragazzi di Zac, che si era avvicinata all`impegno politico ispirata dal suo esempio. Quando la Dc, dopo le sconfitte al referendum sul divorzio e alle amministrative del1975, aveva intrapreso inaspettatamente la strada del rinnovamento, sotto la guida di quest`uomo mite, schivo, così distante dall`immagine di un partito che sembrava identificarsi con il sistema. «L`onesto Zaccagnini – scrisse Walter Tobagi sul vostro giornale – il segretario dalla faccia pulita, il simbolo dell`antipotere che entusiasma le folle, parla ai giovani, risveglia l`anima popolare del partito».
Eravamo in centomila a Palmanova, arrivati spontaneamente e senza nessuna organizzazione, alla prima Festa dell`Amicizia, a sventolare bandiere ascoltando il suo comizio di chiusura. Viene spesso citato il tormento umano e politico vissuto durante il sequestro Moro. Credo gli vada riconosciuto che se la Dc fu in grado di reggere l`impatto drammatico di quei giorni fu soprattutto per la sua credibilità personale, che l`aveva riconnessa alla società, restituendogli una dimensione popolare. Ma proprio come per lo statista di Maglie il suo ricordo non può e non deve essere circoscritto al perimetro di quei 55 giorni. La sua lezione è ancora feconda, su molti fronti: il senso dello Stato, i valori della democrazia repubblicana.
La consapevolezza di dover unire le forze democratiche davanti alla minaccia del nazifascismo, come fece durante la Resistenza da partigiano cattolico, militando nella brigata Garibaldi insieme al comunista Arrigo Boldrini, il leggendario comandante Bulow. Il richiamo alla Carta costituzionale, Zac era stato Costituente, intesa non solo come organizzazione dello Stato, quanto piuttosto come un programma vivo, politico e valoriale, da mettere in pratica. Il principio della laicità delle istituzioni come bussola, perché come amava ripetere, lui che nutriva una spiritualità autentica e mai esibita, i cristiani sono in politica «a causa della fede, ma non in nome della fede».
Ho letto sul Corriere, in questi giorni, autorevoli opinioni su una presunta irrilevanza dei cattolici democratici. Non credo sia così. Tanti di quei «ragazzi di Zac» oggi sono militanti e dirigenti del Pd, e ogni giorno contribuiscono a scriverne l`identità e le politiche. In una forza plurale, che invera le tradizioni precedenti in un pensiero nuovo, all`altezza delle domande inedite del nostro tempo.