«Parlare alla pancia del Paese è facile. Porta voti. Applausi. E facile è anche soffiare sulle paure. C’è una società fragile. C’è un malessere legato a una crisi economica che ancora morde. Ci sono paure vere, reali. Paure figlie della globalizzazione, paure che scuotono le società… Anche l’immigrazione fa paura. Ma una forza politica seria quelle paure non le alimenta, non le enfatizza, non le usa per una campagna elettorale. Le governa». Sfidiamo Dario Franceschini con una domanda netta: com’è questa campagna elettorale? Il ministro della Cultura risponde con due aggettivi: «Spregiudicata. Cattiva». Poi spiega: «Macerata e il museo egizio sono fatti profondamente diversi, ma utilizzati con la stessa spregiudicatezza. Con la stessa cattiveria. Si usa l’immigrato e si spinge la gente a fare l’equazione più facile e più terribile: immigrato uguale criminale. E invece l’immigrato è anche quello a cui affidiamo la vita dei nostri genitori vecchi o dei nostri figli piccoli. Immigrati sono spesso badanti e colf. Immigrati sono uomini e donne che si sono integrati, che lavorano nelle nostre fabbriche, che contribuiscono a tenere in piedi il nostro sistema previdenziale…».
La linea è accoglienza e rigore?
«Se vogliamo essere credibili e forti sul versante solidarietà dobbiamo essere fermi sui temi della sicurezza. Dire che il tema accoglienza è di sinistra e quella sicurezza è di destra è una grande scemenza. Dobbiamo essere durissimi verso ciò che di criminale si agita dietro l’immigrazione. E che spesso vede protagonista la criminalità italiana».
Lei parlava di campagna elettorale cattiva…
«Serve un confronto su idee, su proposte, su programmi e invece si butta tutto in un micidiale tritacarne. È terribile usare drammi come Macerata. Un tempo l’antifascismo era un tema condiviso. Un tempo il razzismo veniva sfidato con un fronte largo. Democrazia cristiana e partito comunista si scontravano su tante cose, ma scrivevano insieme la Costituzione. Oggi quel patto è saltato e c’è un disperato bisogno di alzare una barriera. Insisto: quando cavalchi così le paure vuol dire che hai superato la soglia e questo è veramente terribile».
Lei invita i moderati a reagire. A chi?
A Salvini e a Meloni. Ascolto le loro parole e mi preoccupo. Non c’è un no netto al razzismo. Anzi spesso c’è quasi assoluzione. I moderati devono riflettere su cosa è successo nel centrodestra. Devono capire che gli equilibri sono cambiati. Un tempo la Lega era al 4 per cento e la destra all’uno. Oggi Meloni e Salvini hanno preso le redini dello schieramento. Sono i motori del centrodestra. È Salvini a dare la linea. A fissare le priorità».
Sta chiamando gli elettori di Forza Italia?
«Nel mio collegio a Ferrara c’è una leghista di Comacchio e un ragazzo del Movimento 5 stelle. Un elettore moderato non può affidare il suo territorio a Salvini. Ma percepisco il disagio di tanti di loro che votano centrodestra. Le loro difficoltà. Il loro sconcerto. Sono sensazioni che arrivano. E poi guardi l’Europa. C’è un confine invalicabile che separa la destra moderata da quella populista. In Italia no».
Sta dicendo che dopo il 4 marzo Pd e Forza Italia…
«Non voglio spostare questa riflessione su un terreno che oggi non mi interessa. Dico che il Pd ha tagliato con segmenti estremi della sinistra. E non parlo di Liberi e Uguali. Lega e Fratelli d’Italia sono paragonabile a Potere al Popolo. Per i toni. Per legami con un passato brutto».
Ha ascoltato i cori sulle Foibe gridati a Macerata da una certa sinistra?
«No, non li ho ascoltati. Ma non c’entrano con gli esponenti di Leu che erano lì. Con loro siamo stati nello stesso partito. Ci dividono scelte politiche, un giudizio sulla leadership del Pd. Ma ci unisce un tessuto di valori».