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Franceschini: «Tocca agli elettori allontanare lo scenario dei populisti e degli incapaci al governo»

«Io sono candidato a casa mia, a Ferrara. Ma voglio chiudere qui a Pompei la campagna elettorale. Questo posto rappresenta la storia di un’Italia possibile. Di una riscossa. Quattro anni fa, appena diventato ministro, ci furono due crolli. Era il simbolo del fallimento. Oggi della riscossa del nostro Paese nel mondo».

Da ministro della Cultura Dario Franceschini è venuto spesso nella terra che ospita il sito archeologico più noto del globo. E a poche ore dal voto, proprio da qui lancia un messaggio ai progressisti: «Per anni le forze di centrosinistra si sono compattate per evitare il rischio di Berlusconi. Oggi è molto peggio, con questa destra estremista e il pericolo di un governo con Movimento 5 stelle, Lega e Meloni. Spira un vento di destra in tutta Europa, ma noi siamo divisi. Ecco, tocca agli elettori allontanare lo scenario dei populisti al governo».

Il Pd è diviso da Liberi e uguali, ricordava lei. Con poche chance di vincere nei collegi. Il vero voto utile passa dalla scelta tra centrodestra e Movimento 5 stelle?
«No, anzi: possiamo ancora farcela, tutto si gioca per pochi voti. Nei collegi uninominali vince chi arriva primo e per questo si deve sapere che ogni voto tolto ai candidati del Pd aumenta la possibilità che vinca il centrodestra a trazione salviniana o i grillini. Liberi e uguali può arrivare al 3 o al 6 per cento, ma non può vincere. In compenso, può far perdere il Pd».

Pensa che il Pd sia ancora in gioco, insomma?
«Certo. Capisco tutto. Capisco che possa non piacere una leadership, oppure una scelta politica, oppure una mossa del Pd: ma davvero non si può compromettere per queste ragioni la possibilità di opporsi a gente incapace ed estremista».

Crede davvero che si lavori a un accordo dopo il voto tra Salvini, Di Maio e Meloni?
«Penso che i simili si attraggono. Gli elettorati sono molto diversi, ma ci sono molte similitudini tra i gruppi dirigenti dei tre partiti. Guardate all’Europa, guardate all’America con Donald Trump: prendono le paure e invece di offrire risposte ragionevoli, le alimentano».

È stata questa la cifra della campagna elettorale?
«Insulti, aggressività, tutto triturato in questo scontro in cui i populisti non fanno altro che gettare continuamente benzina sul fuoco».

Prevede il caos istituzionale dopo il voto? C’è il rischio di uno stallo?
«Guardi, gran parte degli italiani non hanno ancora deciso se e cosa votare. Molti addirittura scelgono nel tragitto da casa al seggio. Una volta c’era un voto quasi fideistico, di appartenenza. Ora si passa da un partito a un altro. Ecco, possono ancora prevalere due stati d’animo diversi: o gli italiani scelgono la paura, oppure capiscono che basta un solo voto per decidere che la sfida è a tre, e scelgono la responsabilità e l’affidabilità. La nostra, quella dimostrata in questi anni. E mi faccia dire un’altra cosa».

Dica.
«A differenza del 2013, l’economia è ripartita. E l’Europa affronta una nuova fase, con i governi di Macron e il nuovo esecutivo della Merkel. Ora, possiamo scegliere un governo europeista e sederci a quel tavolo, per costruire un’Unione a due velocità, che funzioni. Oppure possiamo assistere ad antieuropeisti come Di Maio e Salvini sedere al tavolo con Macron e Merkel. Io sinceramente fatico a immaginarli».

Intanto lei chiude la campagna a Pompei.
«È il simbolo di quanto abbiamo fatto al governo, della continuità di questa esperienza, che non va interrotta. Quattro anni fa questo sito rappresentava l’incapacità di raccogliere i fondi comunitari, richiamava l’immagine di file interminabili a cui erano costretti i turisti stranieri. Oggi Pompei attrae un milione di visitatori in più, ha 65 cantieri finiti, permette ai disabili di visitare al meglio gli scavi. C’è pure il wi-fi. Ormai i capi di Stato vengono qui a toccare con mano la rinascita».

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