“La premier Meloni non dirà mai che le tasse sono bellissime. Ma in compenso la sua riforma fiscale è decisamente brutta. Al di là della consueta dose di retorica e propaganda sulla ‘riforma attesa da cinquant’anni’ e il fisco che ‘deve chiedere il giusto’ usando ‘il criterio del buon padre di famiglia’, la verità è che sul fisco la montagna delle promesse del governo ha partorito, decreto dopo decreto, un pessimo topolino”. Lo dice il senatore Antonio Misiani, responsabile Economia nella segreteria nazionale del Pd.
“Da una parte – prosegue Misiani -quasi tutti gli interventi di ridisegno delle principali imposte, dall’accorpamento dei primi due scaglioni IRPEF alla deduzione maggiorata IRES sul costo del lavoro, finanziati solo per il 2024, senza un euro dal 2025 in avanti e la spada di Damocle di conti pubblici in rapido peggioramento. Unico intervento realmente strutturale, una stangata: l’abolizione dell’ACE che farà pagare tre miliardi di tasse in più a centinaia di migliaia di imprese. Dall’altra, le scelte sull’accertamento e il concordato preventivo biennale, la revisione del sistema sanzionatorio e la riscossione, tutte orientate a favore di chi le tasse non le paga e non le vuole pagare. Una vera e propria costante di questo governo, se pensiamo che contemporaneamente le misure di condono variamente denominate sono salite a quota diciotto in diciotto mesi. Di fatto, il governo ha rinunciato in partenza a qualunque tentativo serio di costruire un nuovo patto fiscale nel segno dell’equità e dell’efficienza. La riforma voluta dalla destra cristallizza le disuguaglianze e i trattamenti di favore che negli anni hanno reso il sistema tributario sempre più ingiusto e non affronta in alcun modo gli squilibri nel carico fiscale che penalizzano chi lavora e chi fa impresa”.