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Fassino: “Partito Democratico, perché l’Italia cresca, dia lavoro e sia giusta”

Il Pd compie dieci anni. Dieci anni vissuti pericolosamente, in mezzo alla crisi economica più nera dal 1929. Si annunciano celebrazioni e iniziative, ma Piero Fassino ha bruciato tutti sul tempo. L’ultimo segretario che decise di sciogliere i Ds per confluire assieme alla Margherita nel Pd, ha appena dato alle stampe un libro che ne ripercorre la storia e avanza le sue proposte.

 

Sara Minelli/Imagoeconomica
PIERO FASSINO – Foto: Sara Minelli / Imagoeconomica

Si intitola “Pd davvero”. Fassino, ma questo Pd senza più Bersani e D’Alema ha cambiato natura?

«Il Pd non ha cambiato natura. E lo si è visto ieri nella folla dell’Eliseo: gente pronta a spendersi con generosità perché l’Italia cresca, dia lavoro e sia giusta. Nel partito nato dieci anni fa ci sono tantissimi che vengono dalla storia della sinistra come me. Per Bersani e D’Alema ho un atteggiamento di rispetto ma questo non può celare un dissenso profondo. La scissione è stata un errore: ha indebolito il Pd, la maggioranza di governo, il centrosinistra, oltre a offrire qualche chance in più a Berlusconi e al M5S. E tutto questo per prendere il 3, il 4, il 5%? Per poi farne che cosa? E mi preoccupa ancor di più che per legittimare una scissione che non ha senso, si dia corso a una vera e propria regressione politica. Sento dire delle cose che non avevo mai sentito, né mi sarei aspettato di sentire, da persone con cui ho condiviso anni di impegno per costruire una sinistra con cultura di governo».

Renzi ci ha messo del suo?
«Non credo. Renzi rappresenta un Pd che vuole cambiare il Paese, ben sapendo che le riforme si fanno per cambiare lo status quo. Riforme a costo zero e che accontentino tutti non esistono».

Il Pd ha dieci anni ma deve ancora svilupparsi?
«Le ragioni per cui lo abbiamo fatto nascere 10 anni fa sono ancora più valide. Ne elenco quattro: tutto stava cambiando, allora, e serviva un pensiero nuovo capace di misurarsi con sfide nuove; il Pd è stato fatto per dare all’Italia quel grande partito riformista che non aveva mai avuto; volevamo una grande forza capace di riformare le istituzioni, e se il referendum non è passato non significa che quell’esigenza sia venuta meno; infine, era ed è ancor più necessario oggi aprire una stagione nuova nella sinistra europea, che ovunque mostra di essere in affanno. Se allora non avessimo fatto il PD oggi anche in Italia il riformismo sarebbe in crisi».

Passando ad altro. Ha fatto bene il governo a mettere la fiducia sulla legge elettorale?
«Sono anni che si discute di dare al Paese una legge elettorale che superasse quella voluta dal centrodestra nel 2006. Il PD aveva proposto un sistema a doppio turno con collegi uninominali, come in Francia. Ma le altre forze politiche, tutte, hanno detto no. Il Rosatellum è la soluzione migliore nelle condizioni date. Ha riscosso un ampio consenso in Parlamento anche con forze dell’opposizione. E porta tre vantaggi: recupera il sistema dei collegi uninominali che avvicinano elettori ed eletti; supera l’opacità delle preferenze; sollecita e favorisce la formazione di coalizioni».

Una legge che segna il ritorno delle coalizioni, dunque. Ci sarà un centrosinistra nuovo sulla scena?
«Il Pd lo ha detto chiaramente, lavoriamo per un centrosinistra largo. I nostri avversari non stanno nel nostro campo, ma sono i populismi di Cinquestelle e la destra di Salvini, Meloni, Berlusconi».

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