Oggi è il 2 aprile. Per molti, la maggior parte di noi, è un giorno come un altro. Anche per me a lungo lo è stato. Non da quando sono diventato papà di Sara. Sara, mia figlia che oggi ha 13 anni, mi ha insegnato a guardare le cose da una prospettiva diversa. Obbligandomi a farlo.
Sono papà di Sara e Sara è una bambina autistica. Per molto tempo, forse per paura, forse per difenderla – da cosa poi? – ho cercato di separare la mia vita personale dal mio impegno pubblico. Fino a quando non ho realizzato che raccontare e raccontarsi – ognuno a suo modo, ognuno come può e vuole – è fondamentale per abbattere i muri e costruire giorno dopo giorno una società inclusiva.
Negli anni ho avuto la possibilità di raccogliere storie così diverse legate all’autismo, storie di sofferenza e rassegnazione, di genitori che non si sentono in grado di fronteggiare questo disturbo e decidono di mollare. Storie di successo, di ragazzi e ragazze che giorno dopo giorno conquistano il loro posto nel mondo grazie alla propria tenacia, all’affetto dei loro cari e all’appoggio di educatori e insegnanti di sostegno. Storie di sconforto, quando un padre e una madre vorrebbero garantire un futuro all’altezza delle aspettative del proprio figlio e si trovano a confrontarsi con una realtà che in alcuni casi non è in grado di accompagnare in un percorso di crescita. Storie di riscatto, quando lavorando ai distributori di merendine di una scuola o attraverso laboratori di giardinaggio, si prova a inserire lavorativamente ragazzi e ragazze che altrimenti rischiano di spegnersi come stelle nella nostra società dopo gli anni della scuola.
Da quando, grazie a Sara, ho prestato orecchio e occhi a queste storie, ho capito che basterebbe veramente poco per cancellare quelle negative e realizzare una società inclusiva, in ogni fase della vita di un autistico. Per questo ho deciso di impegnarmi in prima persona con la Fia, Fondazione italiana autismo: per dare voce ai protagonisti di queste storie. E con la voce anche l’ascolto. E con l’ascolto anche il supporto e il sostegno. Conoscere vuol dire comprendere. Comprendere vuol dire accogliere. Dal 28 marzo è partita la campagna #sfidAutismo, campagna che proseguirà fino al 6 aprile (vi invito a unirvi: basta donare 2 o 5 euro da telefono fisso o cellulare al 45507). Sui social è un rimbalzare di personaggi noti e meno noti – e ringrazio tutti quelli che hanno deciso di prendere parte – che sfidano questo disturbo con un urlo. La Rai ha previsto nei palinsesti delle sue reti spazi di approfondimento (a proposito: segnate domani in agenda lo speciale tg1 sul tema), finestre sulle esperienze di persone con autismo, delle loro famiglie, di associazioni e territori. Oggi migliaia di monumenti di tutto il mondo si illumineranno di blu e ogni città ospiterà eventi che mettono al centro questo disturbo. Ma dobbiamo far sì che sia 2 aprile tutti i giorni. Vi confesso che mi fa strano vedere come le cose possano cambiare repentinamente da un anno all’altro.
Già rispetto all’VIII edizione della Giornata mondiale sulla consapevolezza dell’autismo, riesco a percepire chiaramente quest’anno un’attenzione diversa, più forte. Migliore. Abbiamo adesso una legge che si occupa di questo disturbo – la prima in Italia – e ne abbiamo quasi un’altra che riguarda il cosiddetto “dopo di noi”. Certo, ancora tanto dobbiamo fare. Ma siamo sulla buona strada. Non possiamo più permetterci di leggere storie a metà o racconti che conosciamo già per paura di doverci confrontare con qualcosa di altro da noi. Diversità è ricchezza e certe volte basta solo cambiare prospettiva per accorciare le distanze. Facciamolo oggi e facciamolo anche domani, e dopo domani ancora. Ogni giorno sempre un po’ di più.
Davide Faraone, presidente della FIA, Fondazione Italiana per l’Autismo e Sottosegretario del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca