Le modifiche alla normativa su ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi (c.d. attività upstream) introdotte dalla legge di Stabilità 2016 articolo 1, commi da 239 a 242 E GLI EFFETTI SUI REFERENDUM ABROGATIVI
La Legge di stabilità 2016, entrata in vigore il 1 gennaio 2016, ha modificato in misura significativa la normativa in materia di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi (c.d. attività upstream), intervenendo in particolare sull’articolo 38 dello Sblocca Italia, ma anche su altre precedenti norme in materia di energia (articolo 6 comma 17 D.Lgs. 152/2006 – articolo 57 comma 3-bis del DL 5/2012 – articolo 1 comma 8-bis della Legge 239/2004 “legge Marzano energia”).
Qui di seguito i principali interventi:
Divieto di trivellazione nelle aree marine protette e nel raggio delle 12 miglia
Il comma 239 dell’articolo 1, intervenendo sull’articolo 6 comma 17 del D.Lgs. 152/2006, ha confermato il divieto di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi all’interno del perimetro delle aree marine e costiere protette e nelle zone di mare poste entro 12 miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette e ha eliminato le norme che consentivano una serie di deroghe a tale divieto (queste “deroghe” al divieto “di fare trivellazioni” erano state introdotte nel 2006 dal III Governo Berlusconi).
La legge di stabilità 2016 ha quindi rafforzato la tutela delle aree marine dove vi è ora un effettivo divieto di “fare nuove trivellazioni” eliminando proprio quelle norme che consentivano le “deroghe” al divieto previsto nelle aree marine e costiere nel raggio delle 12 miglia.
L’effetto pratico della modifica operata dalla Legge di stabilità è la conferma dei soli titoli abilitativi già rilasciati in queste aree per la durata della vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale; per garantire tale rispetto sono sempre assicurati gli adeguamenti tecnologici necessari e le operazioni finali di ripristino ambientale.
Per garantire il “rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale” sui titoli abilitativi già rilasciati è intervenuto anche il Collegato ambientale, approvato alla fine del 2015, a modifica dell’articolo 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, attribuendo al Ministero dello sviluppo economico specifiche competenze in materia di attività di vigilanza e controllo della sicurezza anche ambientale degli impianti di ricerca e coltivazione in mare; al Ministero dell’ambiente ha assegnato specifiche funzioni di monitoraggio, compresi gli adempimenti connessi alle valutazioni ambientali in ambito costiero e marino, anche mediante l’impiego dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), delle Agenzie regionali per l’ambiente e delle strutture tecniche dei corpi dello Stato preposti alla vigilanza ambientale e alle operazioni di contrasto dell’inquinamento marino).
La Legge di stabilità 2016 stabilisce che nel raggio delle 12 miglia le concessioni già rilasciate siano di fatto prorogate per la durata della vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. (N.B. l’unico quesito referendario rimasto in piedi e su cui è indetto il referendum del 17 aprile riguarda solo questo punto; si parla solo dei 21 impianti esistenti che ricadono nel raggio delle 12 miglia dalla costa e non di tutti gli altri esistenti oltre questa distanza e sulla terraferma sui quali questo referendum non avrà nessun effetto).
La legge di stabilità non poteva bloccare le attività relative ai titoli abilitativi già rilasciati.
La revoca della concessione è subordinata al pagamento di ingenti somme; infatti il concessionario ha, quantomeno, diritto:
1) al valore delle opere realizzate più gli oneri accessori;
2) alle penali e ai costi sostenuti e da sostenere per effetto della risoluzione;
3) ad un indennizzo, a titolo di risarcimento del mancato guadagno, da valutare in base al piano economico-finanziario dell’iniziativa.
Inoltre il mancato rispetto di accordi da parte delle autorità e della pubblica amministrazione di un paese, rende il paese – l’Italia – inaffidabile su tutti i mercati, compromettendo anche per il futuro qualsiasi accordo commerciale e investimento estero diretto in Italia.
Altre modifiche Legge di stabilità 2016 (che hanno comportato la decadenza di TUTTI gli altri quesiti referendari):
1) il comma 240 articolo 1 della Legge di stabilità 2016 ha disposto:
– l’eliminazione del carattere strategico, di indifferibilità e urgenza delle c.d. attività upstream; tali attività conservano solo carattere di pubblica utilità, che costituisce uno dei requisiti per l’emanazione del decreto di esproprio (modifica del comma 1 dell’art. 38 del D.L. 133/2014);
– l’abrogazione della norma (comma 1-bis del medesimo art. 38) che prevede l’emanazione, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di un piano delle aree in cui sono consentite le c.d. attività upstream (per cui era prevista l’intesa con Conferenza Unificata solo per le attività su terraferma);
– l’introduzione della previsione (con una modifica del comma 5 del medesimo art.38) che le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sono svolte con le modalità di cui alla legge n. 9/1991 (“Norme per l’attuazione del nuovo Piano Energetico Nazionale”), o – come già previsto dal decreto “SbloccaItalia” – a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico, la cui disciplina viene però modificata a seguito dell’intervento della Legge di stabilità 2016.
Il decreto “SbloccaItalia”, con il titolo concessorio unico, aveva avuto essenzialmente l’intento di semplificare le procedure di rilascio dellenuove autorizzazioni necessarie alle attività di prospezione e ricerca di idrocarburi, anche mediante una serie di proroghe automatiche. Oggi invece le attività continuano a svolgersi sulla base di un programma generale dei lavori articolato in una prima fase di ricerca della durata di sei anni la quale però, con la modifica introdotta dalla legge di stabilità 2016, non è più prorogabile due volte per un periodo di tre anni come previsto dalle norme prima in vigore.
Attualmente quindi alla fase di ricerca segue la fase di coltivazione della durata di 30 anni, salvo – specificazione introdotta dalla legge di stabilità – l’anticipato esaurimento del giacimento. La Legge di stabilità ha anche soppresso la previsione che consentiva la possibilità di prorogare la durata della fase di coltivazione per una o più volte per un periodo di 10 anni in caso di adempimento degli obblighi concessori e di coltivazione.
2) il comma 241 dell’articolo 1 della Legge di stabilità 2016 ha disposto che, per le infrastrutture energetiche strategiche (quelle upstream comunque non lo sono più a seguito della Legge di dtabilità), in caso di mancato raggiungimento delle intese con le Regioni, si proceda esclusivamente con le modalità partecipative (di cui all’articolo 14-quater, comma 3 della legge n. 241/1990) e non più anche con la procedura, prima ammessa (di cui al comma 8-bis dell’articolo 1 della legge n. 239/2004). Si supera così la contrapposizione con le Regioni su questo punto e, in omaggio al principio “di leale collaborazione” richiamato dalla Corte Costituzionale, si riconosce l’importanza di “idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze”.
In sostanza per le infrastrutture energetiche strategiche non ci sarà “esercizio di poteri sostitutivi”: ove venga espresso motivato dissenso da parte di un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell’articolo 120 della Costituzione, è rimessa dall’amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il Consiglio dei Ministri si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali, motivando un’eventuale decisione in contrasto con il motivato dissenso. Se l’intesa non è raggiunta entro trenta giorni, la deliberazione del Consiglio dei Ministri può essere comunque adottata.
3) il comma 242 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2016 è intervenuto per regolare i casi di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa relativi ai compiti e alle funzioni amministrative in materia energetica esercitate dallo Stato: anche in questo caso ha escluso la procedura di intervento sostitutivo della Presidenza del Consiglio per l’adozione di determinazioni statali in materia energetica quando con ci sia assenso o intesa da parte delle Regioni. (come esempio di “compiti e funzioni amministrative in materia energetica esercitati dallo Stato” che prevedono l’intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome si possono citare le funzioni relative alla definizione dei programmi di ricerca scientifica in campo energetico, e la definizione dei princìpi per il coordinato utilizzo delle risorse finanziarie regionali, nazionali e dell’Unione europea).
La procedura di intervento sostitutivo della Presidenza del Consiglio continuerà a trovare applicazione in caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa inerenti ai compiti di cui al comma 8 del medesimo articolo 1 del D.L. n. 239/2004, e non più anche per l’articolo 7 come prevedeva la norma previgente – che comprendeva anche le “determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, adottate, per la terraferma, di intesa con le regioni interessate” (lettera n) articolo 7), che quindi ora ne sono escluse;
Effetti dell’approvazione della Legge di stabilità 2016 sui referendum abrogativi richiesti dalle Regioni
Dopo l’entrata in vigore della legge di stabilità, l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 7 gennaio 2016, ha stabilito che non hanno più corso le operazioni relative a cinque delle sei richieste di referendum popolare abrogativo presentate dai consigli regionali di Basilicata, Abruzzo, Marche, Campania, Puglia, Sardegna, Veneto, Liguria, Calabria e Molise.
A questo punto, sei Regioni hanno deciso di presentare ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato riguardo a due quesiti: il piano aree e il regime delle concessioni. Il 9 marzo la Corte si è espressa bocciando la riammissione degli altri due quesiti.
Quesito referendario del 17 aprile
L’unico quesito referendario che prosegue l’iter è quindi quello che riguarda i titoli abilitativi già rilasciati, ai quali non si applica il divieto di attività di prospezione e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro le 12 miglia marine, e per i quali viene stabilita la proroga per la durata della vita utile del giacimento (come previsto dalla Legge di stabilità 2016).
Tale quesito referendario prevede l’abrogazione della previsione che tali titoli abbiano la durata della vita utile del giacimento: in sostanza si chiede l’abrogazione delle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale” (di cui all’articolo 6, comma 17, terzo periodo, del D.Lgs. 152/2006, come sostituito dal comma 239 dell’articolo 1 della legge di stabilità per il 2016, vedi testo a fronte tra la legislazione prima vigente e la legge di stabilità 2016).
Testo previgente | Testo in vigore dal 1° gennaio 2016 |
Decreto legislativo 152/2006 Art. 6 | Comma 239 legge 28 dicembre 2015 n. 208 (legge di stabilità 2016) |
17. Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell’Unione europea e internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. | 17. Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell’Unione europea e internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. |
Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, | Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. |
fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 ed i procedimentiautorizzatorie concessori conseguenti e connessi, nonché l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell’ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimentiautorizzatorie concessori conseguenti e connessi. | I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. |
Le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività di cui al primo periodo, fatte salve le attività di cui all’articolo 1, comma 82-sexies, della legge 23 agosto 2004, n. 239, autorizzate, nel rispetto dei vincoli ambientali da esso stabiliti, dagli uffici territoriali di vigilanza dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e legeorisorse, che trasmettono copia delle relative autorizzazioni al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. | Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all’adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell’ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale. |
Il quesito quindi attiene, solo ed esclusivamente, alla durata delle concessioni in essere nel raggio delle 12 miglia.
In conclusione
La Legge di stabilità 2016 – andando a intervenire sull’articolo 38 dello Sblocca Italia e sugli altri provvedimenti normativi previgenti – ha di fatto rimosso tutti quegli elementi di criticità, rispetto alla determinazione del carattere strategico, di indifferibilità e urgenza delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, che di fatto stavano alla base della mobilitazione referendaria delle Regioni; oggi infatti è stato pienamente riaffermato il principio di “leale collaborazione” che consente il pieno coinvolgimento delle Regioni nel procedimento di autorizzazione e anche di superamento delle eventuali divergenze (non è più previsto il potere sostitutivo); anche il procedimento di rilascio del titolo concessorio unico previsto dall’articolo 38 è stato corretto, eliminando le proroghe pressoché automatiche sia della fase di ricerca sia di quella di coltivazione, che allungavano considerevolmente i tempi della concessione.
Per queste ragioni il referendum è nella sostanza inutile.
In sostanza:
1) Restano vigenti tutte quelle norme che, grazie al lavoro del PD in sede di conversione dello Sblocca Italia, assicurano maggiori garanzie ambientali nel rilascio di nuove autorizzazioni (commi 6-6bis-6ter dell’articolo 38 dello Sblocca Italia) e che rendono il nostro Paese il più sicuro a livello europeo : conferenza di servizi in cui deve essere svolta valutazione ambientale preliminare del programma complessivo dei lavori; verifica dei requisiti dei soggetti a cui viene rilasciata autorizzazione che devono dimostrare di disporre di capacità tecnica, economica ed organizzativa ed offrire garanzie adeguate alla esecuzione e realizzazione dei programmi presentati, avere sede sociale in Italia o in altri Stati membri dell’Unione europea e, a condizioni di reciprocità, a soggetti di altri Paesi, presentare idonee fideiussioni bancarie o assicurative commisurate al valore delle opere di recupero ambientale previste; i progetti di opere e di interventi relativi alle attività di ricerca e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi relativi a un titolo concessorio unico sono sottoposti a valutazione di impatto ambientale nel rispetto della normativa dell’Unione europea; il rilascio di nuove autorizzazioni per la ricerca e per la coltivazione di idrocarburi è vincolato a una verifica sull’esistenza di tutte le garanzie economiche da parte della società richiedente, per coprire i costi di un eventuale incidente durante le attività, commisurati a quelli derivanti dal più grave incidente nei diversi scenari ipotizzati in fase di studio ed analisi dei rischi.)
2) La legge di stabilità ha cancellato definitivamente la possibilità di fare nuove trivellazioni nelle aree marine protette e nel raggio delle 12 miglia, anche per quanto riguarda i procedimenti in corso (cioè le istanze presentate o in fase anche avanzata di istruttoria ma non ancora concluse). In questi ambiti sono fatti salvi solo i titoli abilitativi già rilasciati per la durata della vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Quindi:
a) Non è vero quel che si dice, che “continueranno a trivellare le nostre coste” o che “ci saranno nuovi rischi di incidenti” perché stiamo parlando solo di impianti già esistenti e sempre nel rispetto delle norme di sicurezza e di salvaguardia ambientale previsti dalle norme vigenti al momento della loro autorizzazione;
b) Il Governo nelle sue scelte ha tenuto giustamente conto delle ragioni di carattere industriale legate a questi impianti e degli impatti economici e occupazionali: ulteriore aumento della dipendenza energetica dall’estero, riduzione investimenti e fatturato, rischio di perdita occupazione molto alta. il rischio che il referendum del 17 aprile possa impattare negativamente sui livelli occupazionali in alcune aree del Paese è reale;
c) Gli impianti di cui stiamo parlando sono concentrati soprattutto nell’Adriatico centro-settentrionale, le rimanenti sono nell’offshore della Calabria e in Sicilia: si tratta di concessioni rilasciate negli anni ’60 e ‘70 e per oltre la metà in scadenza nei prossimi 4 anni, dai quali di estrae soprattutto gas; dal momento che questi impianti esistono è del tutto ragionevole che si utilizzino nel modo più efficiente, fino all’esaurimento del giacimento, senza che questo significhi rinunciare ad andare verso una transizione energetica più sostenibile che comunque non avverrà dall’oggi al domani;
d) È del tutto fuorviante piegare la discussione sul referendum del 17 aprile ad uno scontro tra chi è a favore delle trivelle e chi è a favore delle rinnovabili; piuttosto è necessario riaprire seriamente la discussione sulla Strategia Energetica Nazionale perché abbiamo davanti degli impegni stringenti che ci derivano dall’Europa dal Pacchetto Energia 2030 e dall’Accordo di Parigi – ma non è con questo referendum che si cambierà la strategia energetica del Paese. Lo strumento del referendum è del tutto inefficace e rischia al contrario di avere come unica conseguenza la messa a rischio di migliaia di posti di lavoro di quanti operano in impianti già attivi, senza nessun reale beneficio ambientale e senza portare nessun contributo alla ripresa di una discussione seria sul futuro energetico del Paese.